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Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914) » Mozzoni Anna Maria  
1837 - 1920
 


 

 

La più importante femminista italiana dell'Ottocento nasce nel 1837 da nobile famiglia milanese, e conosce fin da bambina la discriminazione riservata alle donne: per mantenere agli studi i fratelli, la famiglia, pur risorgimentale e antiaustriaca, la rinchiude in un collegio femminile di spirito gretto e reazionario. Uscita di collegio, la giovane Anna Maria si forma una cultura attingendo alla biblioteca di casa. Tra queste letture gli illuministi francesi e lombardi, i romanzieri contemporanei, Mazzini, Georges Sand, Fourier.

Della sua vita privata si sa poco. Vissuta sino al 1894 tra Milano e il borgo di Rescaldina, ha una figlia, forse naturale forse adottiva, che porta il suo cognome: Bice Mozzoni, e che sarà avvocato. Si sposa solo nel 1886 con un procuratore, molto più giovane di lei, il conte Malatesta Covo Simoni, con il quale nel 1894 si trasferisce a Roma. Muore in questa città il 14 giugno 1920, ormai da tempo appartata dalla lotta politica.

L'Avanti!, del 18 giugno le dedica un necrologio che merita di essere riportato: «Alla prima alba di lunedì 14, è morta al Policlinico, in età di anni 83, la signora Anna Maria Mozzoni, vedova Malatesta, che fu a suo tempo, se non la prima, certo una delle più geniali e più amabili assertrici dei diritti e della emancipazione femminile in Italia. [...] Invecchiata e ormai fuori dalla vita militante, aderì alla guerra più forse per atavica tradizione della famiglia patriottica fin dai tempi della dominazione austriaca in Lombardia che per convinzione, ma rispettò il contegno dei socialisti coi quali mantenne sempre buoni rapporti di amicizia e di stima. Si è spenta oscuramente, ma le tracce della sua opera di un tempo restano incancellabili nella storia della causa femminile e la sua memoria rimane simpatica ed indelebile nell'animo dei vecchi amici che le sopravvivono».

Il tono ambivalente di queste righe, tra simpatia e presa di distanza, ci dice che il tempo della Mozzoni era ormai finito, anche prima della sua morte. La grande cesura della guerra allontanava in un lontano passato la generazione risorgimentale della quale faceva parte, e a cui si legavano i suoi obiettivi e le sue lotte. Anna Maria Mozzoni fu presto dimenticata; solo i nuovi studi di storia delle donne la riscopriranno, nella seconda metà del Novecento.

Fu anzitutto un'agitatrice politica, quanto di più simile alle suffragiste inglesi e americane abbia potuto produrre il mondo femminile italiano, così diverso da quello anglosassone. Instancabile tessitrice di associazioni, leghe, movimenti, ispiratrice di riviste, conferenziera, scrittrice di saggi e opuscoli politici, non fu una teorica ma ebbe un pensiero politico chiaro e coerente, che guidò i suoi passi nel mondo dei nuovi partiti dell'Italia unita. Franca Pieroni Bortolotti, a cui va il merito di averne resuscitato la figura e il pensiero, le rimprovera di essere stata sempre “ai margini” delle correnti alle quali si è accostata: i mazziniani, i democratici radicali, i socialisti, in virtù di una «intransigenza» sulla parità tra uomini e donne, che le avrebbe impedito di aderire sino in fondo ad un credo politico. In verità, questo è proprio il motivo maggiore dell'interesse che oggi riscuote una figura come la Mozzoni. Che, in un mondo politico nel quale raramente le donne hanno fatto valere la propria autonomia, qual è stato ed è tuttora quello italiano, brilla solitaria per la chiarezza di pensiero e d'azione con cui perseguì l'emancipazione femminile come obiettivo politico autonomo, che richiedeva una organizzazione politica altrettanto autonoma.

Dotata di cultura e intuizione politica, vide tutti i legami dell'emancipazione femminile con il generale movimento di affermazione dei diritti, proprio della modernità; e ne vide anche la dipendenza dal diffondersi della produzione industriale e quindi del lavoro delle donne. Perciò fu alleata di quanti si facevano paladini dei diritti e della questione sociale. Ma non accettò mai l'idea che l'emancipazione della donna fosse un effetto secondario e automatico del conseguimento di un altro obiettivo: la patria, per i mazziniani, la democrazia, per i radicali, o l'avvento al potere della classe operaia, per i socialisti.

La rivendicazione dei diritti della donna era per lei «la suprema, la più vasta e radicale delle questioni sociali», e per questo poteva essere coordinata, ma non subordinata, ad altre rivendicazioni, ad altre rivoluzioni. Inoltre, e que sto è perfino più significativo, pensava che l'iniziativa delle riforme dovesse essere delle donne, organizzate a questo scopo, perché «i diritti e le libertà ottenute in dono sono illusorie».

La sua posizione è già chiaramente espressa nel suo primo e più ampio scritto, La donna e i suoi rapporti sociali, del 1864. Ancora risorgimentale e mazziniana, la giovane Anna Maria mette a fuoco l'idea dei diritti delle donne e dell'eguaglianza di diritti e doveri tra donne e uomini, correggendo in modo sostanziale l'idea della missione della donna nella famiglia, sostenuta da Mazzini e dai suoi seguaci. «Il dovere, fonte del diritto, è cosa santa ed equa, ma il dovere solo è schiavitù e oppressione». E non concede proprio nulla a un'idea tradizionale del ruolo della donna l'affermazione che nei lavori di cucito e di ricamo si trascina un'«esistenza parassita: non chiamate lavoro la insignificante direzione d'una casa o le industrie d'Aracne».

Ben prima dell'incontro con il socialismo, Anna Maria vede nel lavoro, sia il lavoro industriale delle operaie, sia quello delle professioni e dei mestieri, la chiave – insieme all'istruzione – dell'emancipazione delle donne. Si riconosce in questa sua idea l'influenza di Fourier, dal quale le deriva anche un approccio non moralistico e non miserabilistico ai lati indubbiamente tragici del lavoro industriale.

Un'altra influenza importante sul pensiero e l'azione della Mozzoni è quella di John Stuart Mill, il filosofo inglese, ispiratore e militante del suffragismo, del quale traduce nel 1870 il celebre scritto sulla Subjection of women. Da Mill le viene soprattutto la spinta all'azione politica e all'uso della petizione popolare come suo strumento: uno strumento che vale da un lato ad organizzare le donne, raccoglierle intorno ad un obiettivo specifico, dall'altro a stabilire un rapporto non subalterno col Parlamento e con i partiti politici.

Negli anni Settanta la sua attività pubblicistica si infittisce: è la principale ispiratrice della rivista La donna, fondata nel 1868; fa parte della direzione della mazziniana La Roma del popolo; scrive saggi e tiene conferenze. Nel 1881 fonda una associazione indipendente, la “Lega promotrice degli interessi femminili”, che si collega al movimento socialista e anzi sarà tra le associazioni che nel 1892 daranno vita al Partito socialista.

Da questo momento, sino ai primi del Novecento, la sua attività si svolge sostanzialmente in relazione al movimento socialista. Nel 1883 conosce Turati e Lazzari, e collabora all'inchiesta agraria di Agostino Bertani. Con Turati, Lazzari e la Kuliscioff fonda nel 1889 la Lega socialista milanese. Collabora alla Critica sociale, la rivista di Turati. Nel 1888 aderisce al Partito operaio italiano, ma non aderirà al Partito socialista. La ragione è quella esposta in una conferenza del 1892: i socialisti pensano che la questione femminile si risolverà da sola per effetto della soluzione della questione economica e sociale. Per loro, l'emancipazione dei lavoratori porterà con sé l'emancipazione della donna. La Mozzoni, naturalmente, non è d'accordo e pensa, con una certa tristezza, che si dovrà aspettare «una seconda generazione di socialisti» perché in questo partito la sensibilità ai diritti delle donne possa affermarsi.

Il momento culminante del rapporto con il Partito socialista è il conflitto che nel 1898 la oppone ad Anna Kuliscioff sulla legislazione di tutela del lavoro femminile. Si trattava di un tema che stava molto a cuore al partito socialista, che vi lavorava da tempo, e alla fine dell'anno precedente aveva elaborato un progetto, sul quale avrebbe basato la sua azione parlamentare.

La Mozzoni scrive una lettera a L'Avanti!, pubblicata il 7 marzo 1898, col titolo significativo Legislazione a difesa delle donne lavoratrici. “Dagli amici mi guardi Iddio!”, in cui sostiene che l'azione di tutela delle lavoratrici mira in realtà a salvaguardare la funzione delle donne nella famiglia, e a proteggere il lavoro maschile limitando la concorrenza delle donne con una serie di divieti (lavoro notturno, straordinari, lavori pesanti, ecc.).

La sua tesi è che il diritto al lavoro delle donne non debba essere limitato per legge, e che debbano essere le lavoratrici a lottare per migliorare le condizioni di lavoro, su un piede di parità con i colleghi maschi. «Non accettate protezioni, esigete giustizia», è il suo appello.

Le risponde la Kuliscioff, con un articolo intitolato In nome della libertà delle donne. “Laissez faire, laissez aller”, che difende la necessità di regolare il lavoro delle donne per evitare lo sfruttamento, e l'accusa di liberismo e di convergenza con i padroni, che non vogliono la legge per avere mano libera.

Quante volte si è riprodotto, nel movimento femminista, questo dissidio tra chi guarda in primo luogo alla tutela di un soggetto (presunto) debole e chi invece guarda ai diritti e alla forza che deriva dall'affermarli e esercitarli in modo autonomo?

Ma il principale obiettivo politico del femminismo dell'epoca era, e non poteva non essere, il voto. Fin dalle sue prime uscite pubbliche, Anna Maria Mozzoni è impegnata per questo obiettivo, che considera vitale da due punti di vista: perché le istituzioni non potranno dirsi libere sinché le donne non contribuiranno alla loro formazione, e perché le donne non potranno uscire dalla loro assenza morale dalla vita nazionale, se non potranno eleggere i rappresentanti ed essere eleggibili tra loro.

La sua prima petizione per il voto è presentata al Parlamento e all'opinio ne pubblica nel 1877; un'altra, firmata da venti donne di prestigio, tra cui Teresa Labriola e Maria Montessori, è presentata nel 1906, nell'ambito della vasta e lunga discussione sulla riforma elettorale, che sfocerà poi nell'approvazione del cosiddetto “suffragio universale”. Il diritto di voto è rivendicato «perché siamo cittadine, perché paghiamo tasse e imposte, perché siamo produttrici di ricchezza, perché paghiamo l'imposta del sangue nei dolori della maternità, perché infine portiamo il contributo dell'opera e del denaro al funzionamento dello Stato».

Com'è noto, la legge del 1912 esclude esplicitamente le donne. Il movimento per il suffragio è dunque sconfitto: una sconfitta ancora più grave e definitiva perché si accompagna ad una frattura interna al movimento. Nel 1911 le socialiste erano uscite dalla Società per il suffragio, fondata qualche anno prima, pur facendo introdurre l'elettorato femminile tra gli obiettivi del partito. Una stagione di lotte condivise è finita. L'isolamento che accompagna gli ultimi anni di Anna Maria Mozzoni segna anche la rottura tra il femminismo dei diritti, “borghese”, e l'impegno socialista sulla questione femminile: una rottura che sarà superata – in parte – solo nella seconda metà del Novecento.

Claudia Mancina

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