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   Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
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Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914) » Garibaldi Anita  
1821 - 1848
 


 

 

«Io giammai avevo pensato al matrimonio, e me ne credevo inadeguato per troppa indipendenza d'indole e propensione a carriera avventurosa», scrive Giuseppe Garibaldi nelle Memorie. Ma un giorno mentre passeggia sul cassero della Itaparica e con il cannocchiale scruta la riva, vede una giovane donna, se ne invaghisce, ordina che lo trasportino a terra per poterla incontrare. È il 21 luglio 1839.

Giuseppe Garibaldi ha trentadue anni e sta combattendo contro gli imperialisti brasiliani per l'indipendenza del Rio Grande del Sud. La fanciulla intravista aggirarsi sulla riva di Laguna, il porto di Santa Caterina in provincia di Rio Grande, si chiama Ana Maria de Jesus Ribeiro, ha diciotto anni, da tre è la moglie di Manoel Duarte de Aguiar, di professione calzolaio.

Una volta a terra e rintracciata la sconosciuta, Garibaldi non indugia un istante: «La salutai finalmente, e le dissi “tu devi esser mia”».

Il mito di Anita comincia con questo racconto di Garibaldi, ma il mito dovrà confrontarsi sempre con la realtà.

Silvia Alberti de Mazzeri, che ha consultato documenti e testimonianze storiche nel suo libro Le donne di Garibaldi, scrive che l'incontro non avvenne nel modo narrato nelle Memorie ma capitò per caso. Nel corso di una ispezione nel paese di Laguna, Garibaldi notò davanti alla porta di una casa una giovane donna dai lunghi capelli corvini in lacrime. Le chiese il motivo per cui piangeva e lei gli disse che suo marito era in punto di morte. Garibaldi si offrì di aiutarla e trasportò il marito di Anita, che era un soldato dell'esercito imperiale e che era stato ferito all'ospedale.

Per due mesi Garibaldi andò a trovare Anita che intanto s'innamora di lui e quando egli deve ripartire gli chiede di seguirlo, abbandonando il marito morente. Ciò spiega perché Garibaldi nelle Memorie scrive che con Anita avrebbe infranto la vita di un innocente.

L'eroe dei due mondi ha incontrato così, come scrive, «la madre dei miei figli! La compagna della mia vita nella buona e nella cattiva fortuna! La donna, il di cui coraggio io mi sono desiderato tante volte». Di coraggio non fece certo difetto Anita. È analfabeta, ma fin da bambina, grazie anche agli insegnamenti di uno zio ha imparato non soltanto a cavalcare come un'amazzone e ad impugnare la pistola, ma anche il valore di ideali come la libertà e l'indipendenza.

Con Garibaldi, da lei affettuosamente ribattezzato José, condivide da subito tutto: passione politica, ideali per cui combattere, fatiche, fame, imprese guerresche. Dotata di mira infallibile e di coraggio leggendario, per diciotto mesi, per tutto il periodo in cui Garibaldi combatte per l'indipendenza del Rio Grande, è al suo fianco, in prima linea; a bordo delle navi da guerra come nelle boscaglie, a cavallo come nelle lunghe marce estenuanti.

In quella occasione, scrive Garibaldi, «fu stretto il nodo che solo la morte poteva infrangere». Partecipò con Garibaldi a varie azioni in alcune delle quali rischiarono ambedue di perdere la vita come nello scontro con le navi dell'armata imperiale che lo stesso Garibaldi rievoca con parole di ammirazione: «Anita fu l'eroina sublime di questo combattimento. In piedi sulla poppa, nel mezzo della mitraglia compariva dritta, calma e fiera come una statua di Pallade».

Dà prove di resistenza incredibili alla fatica, alla sete, alla fame, nutrendosi di sole bacche e radici per giorni, senza un lamento, spronando i compagni di lotta ad andare avanti, a combattere, stanando gli imboscati e i vigliacchi a suon di fucilate. Quando, fatta prigioniera, le dicono che José è morto, riesce a fuggire ma, anziché porsi subito in salvo, vaga per una notte intera aggirandosi sul campo di battaglia fra i cadaveri, alla ricerca del compagno amatissimo.

Il 16 settembre del 1840 Anita partorì il primo figlio, Menotti in un villaggio del Rio Grande; il bambino nacque con un'ammaccatura alla testa perché Anita era caduta poco prima del parto da cavallo.

Scrive di lei Jessie White Mario: «Affettuosissima e con l'amore devoto di una schiava, pronta a qualsiasi sacrificio per l'uomo adorato, in ogni campo meno in quello dell'amore, Anita diventa selvaggia, allorché presa dall'incubo della gelosia. Ella non tollerava rivali: e quando sospettava di averne una, si presentava al marito con due pistole in mano, una da scaricare contro di lui, l'altra contro la rivale». La gelosia la tormenta al punto di costringerlo a tagliarsi barba e capelli nel tentativo di renderlo meno attraente. È gelosa soprattutto di Mary Ausley la moglie del rappresentante inglese a Montevideo.

Con il trasferimento in Uruguay, a Montevideo, la vita della coppia si trasforma: si sposano, creano una famiglia. Anita mette al mondo altri tre figli, José per un po' di tempo si adatta a fare l'insegnante, il piazzista, poi ricomincia a combattere, per l'Uruguay contro l'Argentina di Rosas.

Nel 1847 decide di ritornare in Italia, e lei lo precede con i bambini. Va a vivere a Nizza dalla suocera, Rosa, cattolica fervente e praticante, che la guarda con sospetto perché sa del precedente matrimonio della “brasiliana” e tenta perfino di opporsi a che Garibaldi e Anita “convivessero sotto lo stesso tetto”.

Garibaldi non appena approdato in Italia ha ricominciato a combattere: nei pressi del lago Maggiore, a Firenze, in difesa della Repubblica Romana. L'Anita che lo segue in Italia non è più la compagna della guerriglia, è la moglie che accudisce alle faccende domestiche e che deve convivere a Nizza con una suocera diffidente e ostile. È tormentata sempre più dalla gelosia, teme che altre donne le rubino il suo José. Lascia i figli ad amici e tutte le volte che può cerca di raggiungerlo. Ogni volta lui la rimanda indietro ma lei continua ad inseguirlo. Anche se è di nuovo incinta, anche se è caduta malata nel luglio del 1848 raggiunge Garibaldi, durante la vicenda della Repubblica Romana. Come ai vecchi tempi indossa abiti maschili per poter cavalcare più agevolmente, imbraccia il fucile e combatte accanto a Garibaldi. Quando il 2 luglio 1848 Roma cade in mani francesi e ha inizio la lunga fuga attraverso l'Italia, Anita è ormai rosa dalla malaria e appesantita dalla gravidanza e il 4 agosto 1848 muore nella palude di Comacchio.

Anche qui la realtà si confronta con il mito. La donna impavida e orgogliosa è diventata per i fuggiaschi un peso. Fu abbandonata morente in un casolare? Si insinuò persino che coloro che avrebbero dovuto proteggerla invece l'assassinarono. Il mito racconta che morì invece tra le braccia di Garibaldi. La sua morte è avvolta in un'ombra che circondò per dieci anni anche i suoi resti mortali finché la pietà di un sacerdote, un povero parroco, don Francesco Buzzacchi, non intervenne a ricomporli e a dargli un funerale religioso.

Muore la donna, e rinasce il mito.

Il suo ruolo di compagna di Garibaldi nelle battaglie ha fatto sì che fosse considerata come la Madonna laica del nostro Risorgimento e l'ha fatta assurgere a simbolo del coraggio femminile, un simbolo che nessuna donna italiana è riuscita ad eguagliare.

Il 30 maggio 1932 Benito Mussolini inaugura il monumento sul Gianicolo dedicato ad Anita, affermando tra l'altro che ella «conciliò sempre durante la rapida avventurosa sua vita i doveri della madre e della combattente intrepida al fianco di Garibaldi». Non c'è biografia di Garibaldi, da Cremonesi a Denis Mack Smith a Indro Montanelli che non ne esalti la figura, in Italia come in Inghilterra. In tempi recentissimi, in Brasile, la figura di Ana Maria de Jesus Ribeiro in Garibaldi, è stata oggetto di studi approfonditi, firmati tra gli altri da Paulo Markun e Yvonne Capuano.

Giovanni Russo

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