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La costruzione dello Stato e i nuovi indirizzi politici » L’unificazione amministrativa  
 

L'unificazione amministrativa dei territori annessi alla monarchia sabauda è il grande tema che accompagna le vicende politiche e militari del nascente Regno d'Italia. Tra il 1859, quando è ancora in vigore il regime dei pieni poteri votati in occasione della guerra, e il 1865 il disegno del nuovo Stato assume contorni precisi.

In quello stesso giro di anni l'Italia politicamente unita porta a compimento anche l'unificazione legislativa. Il codice civile, il codice di procedura civile e la legislazione commerciale, tra l'altro, diventano esecutivi su tutto il territorio del Regno. Ma è l'unificazione amministrativa a dare la cifra, da un lato, della grande energia profusa in quei frangenti dalla classe dirigente liberale; dall'altro, delle enormi difficoltà che significò la costruzione del nuovo Stato.

Il lavoro, cominciato fin dai mesi che precedettero l'unificazione, era finito in una situazione di stallo dopo il 1861. Amministrazioni provvisorie operanti in Toscana e in Italia meridionale rimasero in vigore fino a tutto quell'anno, allorché furono abolite non senza resistenze tra i liberali e solo sull'onda della gravità della situazione politico-militare nelle province meridionali, che richiese la risposta energica del giovane Stato unitario. Testimone comunque della persistenza di una cautela nel procedere ad una uniformizzazione radicale più generale il fatto che si permise alla Toscana di conservare fino al 1889 il codice penale granducale.

Fu la Convenzione di settembre (1864) e la conseguente decisione di spostare la capitale a Firenze (1865) che imposero al Parlamento italiano un ulteriore decisivo passo avanti sulla via della centralizzazione in particolare degli ordinamenti amministrativi.

 


 

  H. Vernet  - Carlo Alberto a cavallo - 1834 ca. - olio su tela - Galleria Sabauda - Torino

Alla fine del 1864, un progetto di legge autorizzava il governo del re a pubblicare e a rendere esecutivi in tutte le province del Regno le leggi di unificazione.

In forma di allegati, sei in tutto, furono così promulgate il 20 marzo del 1865 la legge sulle amministrazioni comunali e provinciali, quella sulla sicurezza pubblica, i provvedimenti sulla sanità, sul Consiglio di Stato e sull'abolizione del contenzioso amministrativo, le norme sulle opere pubbliche.

Un complesso di materie, come si vede, che investiva aspetti fondamentali della vita civile, dei diritti dei singoli e della loro libertà, dell'organizzazione della sfera degli interessi locali.

L'unificazione amministrativa fu nei fatti, e salvo poche correzioni, l'estensione al territorio del Regno d'Italia delle leggi piemontesi, promulgate negli ultimi mesi del regno di Carlo Alberto ma, soprattutto, frutto dei progetti e delle discussioni che si svolsero lungo tutto il decennio 1849-1859 nel Parlamento subalpino.

Del modello sabaudo l'Italia unita fece proprio l'impianto centralistico e verticistico gerarchico dell'organizzazione dello Stato. Imposta dalle condizioni in cui si stava svolgendo l'unificazione della penisola e dal bisogno di far presto, l'applicazione delle leggi piemontesi generò contrasti nello stesso campo liberale e tra gli antichi seguaci di Cavour.

I liberali erano per lo più uomini formatisi al modello delle libertà inglesi e dell'autogoverno locale. Nell'accentramento amministrativo vedevano riaffiorare un'eredità giacobina che gli era ideologicamente estranea e politicamente più che sospetta.


 

 
L. Cauda - Busto-ritratto di Camillo Benso Conte di Cavour -1862 ca. - Collezione Cariplo - Milano  

In relazione a questo ordine di problemi, l'unificazione amministrativa fu la cartina al tornasole di due grandi questioni che, immediatamente, si presentarono all'esame dell'èlite politica del nuovo Stato e che da allora in avanti sarebbero diventate due questioni permanenti nella costruzione dell'Italia contemporanea.

Innanzitutto l'autonomismo, l'ideologia cioè dell'autogoverno locale. È questa la strada lungo la quale la monarchia sabauda incontra e si scontra con la società dell'Italia centro-settentrionale, lombarda sicuramente e per certi versi tosco-emiliana, così pregna delle tradizioni e della cultura del municipalismo. Studi recenti hanno mostrato la natura ideologica di questa costruzione storiografica. Nella temperie postunitaria, la rivendicazione autonomista diede voce più che altro al risentimento e al sospetto delle élites locali nei confronti dell'ingerenza delle nuove autorità piemontesi.

L'opposizione all'unificazione amministrativa fu soprattutto una reazione alla piemontesizzazione, alla scomparsa, cioè, delle vecchie capitali dell'Italia preunitaria, all'arrivo negli uffici di impiegati e funzionari piemontesi e in particolar modo all'imposizione di prassi amministrative e stili di lavoro estranei, con l'aggravante dell'occhiuta diffidenza della nuova autorità verso gli antichi impiegati.

Non accadde solo nell'Italia centro-settentrionale. Una gelosa fedeltà alle tradizioni locali esisteva anche nell'Italia meridionale, specialmente tra i ceti borghesi variamente collegati all'apparato amministrativo borbonico. Qui, le condizioni particolarissime impressero un corso differente alle velleità di autogoverno delle superstiti élites meridionali, molte delle quali erano peraltro largamente irrecuperabili a qualsiasi discorso unitario, anche il più disponibile al decentramento.

Il prorompere della questione meridionale è, dunque, l'altro grande tema posto dall'unificazione amministrativa del Regno d'Italia. L'annessione dell'Italia meridionale mise il gruppo dirigente liberale di fronte a difficoltà enormi. Essi non avevano calcolato in tutta la loro portata le diversità economiche e sociali tra le province meridionali e l'Italia centro-settentrionale.

Sicuramente non avevano previsto il livello di disfacimento del tessuto istituzionale del vecchio apparato borbonico. Se in Sicilia le strutture dello Stato meridionale crollarono nell'impatto con la spedizione militare garibaldina, nel Continente, seppur in modo meno clamoroso, era all'opera da tempo un processo di disfacimento dell'apparato amministrativo borbonico.

Non solo, ma il centralismo sabaudo finì anche per assumere da allora in avanti, agli occhi della migliore élite meridionale, il ruolo di garanzia dagli abusi e dalla corruzione molto diffusi nella società dell'Italia del Sud.

In altre parole, la scoperta del Mezzogiorno impose alla coscienza dell'Italia liberale il centralismo come scelta inevitabile e obbligata.


Schede collegate: Cavour, Rattazzi

 

I liberali e la scentralizzazione

Nella primavera-estate del 1860, prima dell'ingresso di Garibaldi a Napoli e prima che il problema dell'unificazione delle province meridionali divenisse un problema concreto, i liberali tentarono di impostare la questione dell'organizzazione dello Stato sulla base dei principi di libertà e di autonomia amministrativa. A che cosa si riducono i benefici dell'autonomia amministrativa, chiedeva Cavour in un intervento al Parlamento subalpino il 26 maggio 1860? Lasciare a ciascuna delle parti del corpo sociale, era la risposta, una grande libertà d'azione. A questo scopo fu istituita una Commissione, presieduta all'inizio da Luigi Farini, che aveva il compito di progettare un sistema amministrativo decentrato. Dei lavori di questa commissione restano tra gli altri documenti due note, a firma di Farini stesso e di Marco Minghetti, che, tra l'estate e l'inverno del 1860, definiscono i tratti di una riforma del sistema amministrativo in senso regionale. Riforma che le notizie drammatiche provenienti dal Sud fecero ben presto abbandonare.

L. C. Farini, Nota, in C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, Giuffré, 1964, pp. 279-287.

M. Minghetti, Nota, in C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, Giuffré, 1964, pp. 291-298.

 

L'organizzazione dello Stato e il problema del Mezzogiorno

La gravità della situazione politica e militare nelle province meridionali fu uno dei motivi principali che spinse le classi dirigenti liberali ad accelerare l'organizzazione dello Stato secondo il modello piemontese e ad accentuare il carattere accentratore e autoritario dell'amministrazione. Pubblichiamo di seguito le pagine dello storico Ernesto Ragionieri che affrontano questo problema. Si tratta dell'intervento al secondo convegno di studi gramsciani che si tenne a Roma nel marzo del 1960.

E. Ragionieri, Polita e amministrazione nello Stato unitario, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell'Italia unita, Bari, Laterza, 1967, pp. 71-129.

 

Cattaneo

Nell'estate del 1864, Carlo Cattaneo inviò alla rivista «Il diritto» quattro lettere Sulla legge comunale e provinciale destinate a diventare un testo fondamentale della polemica contro il centralismo del nuovo Stato unitario.

C. Cattaneo, Sulla legge Comunale e Provinciale, in Id., Scritti politici, Firenze, Le Monnier, IV, 1965, pp. 414-440.

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