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La costruzione dello Stato e i nuovi indirizzi politici » Apparato di controllo e repressione  
 


 

 
La brigantessa Michelina De Cesare -1865 ca. - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma  

Per molti anni, almeno fino alla conclusione della prima fase della repressione del brigantaggio meridionale (1865), il nuovo Regno d'Italia visse in uno stato di eccezionalità.

La costruzione politica dell'Unità sembrò per lungo tempo revocabile. Ai nemici interni si sommavano gli effetti di una difficile legittimazione sul piano internazionale. Il nuovo Regno, edificato sul terreno del consenso popolare attraverso i plebisciti, e su questa base impostosi all'opinione pubblica e al concerto delle potenze europee, sembrava, almeno al Sud, dover fare i conti con un imponente e radicale rifiuto di massa.

A questo proposito ebbe una vasta eco europea la pubblicazione, in Francia, pare all'insaputa degli interessati, di una lettera di Massimo d'Azeglio del 2 agosto 1861 a Carlo Matteucci. Fin qui, scriveva d'Azeglio, abbiamo sostenuto che i governi privi del consenso dei popoli non sono legittimi. A Napoli e in tutto il Mezzogiorno non bastano sessanta battaglioni per tenere il Regno. Briganti o non briganti, continuava l'esponente piemontese, «tutti non ne vogliono sapere».

Si comprende, allora, la durezza e fin'anche la brutalità con la quale il nuovo Stato decise di imporsi ai suoi territori ribelli (legge Pica, 1863). Tra l'altro se la guerriglia contadina e borbonica si fosse trasformata in un'insorgenza di massa delle province meridionali, ciò avrebbe potuto facilmente significare l'autorizzazione ad un intervento delle potenze straniere per una diversa sistemazione politico-territoriale della penisola.

D'altra parte, la disponibilità all'uso della forza per difendere l'Unità era stata dichiarata senza possibilità di equivoco da Cavour già nel dicembre del 1860. Scrivendo a Giuseppe Devincenzi, consigliere di luogotenenza a Napoli, lo statista piemontese disse: «L'Italia deve farsi e si farà. Cercheremo di vincere gli ostacoli colle buone, se ciò non giova li vinceremo con mezzi estremi. Ora che la fusione delle varie parti della Penisola è compiuta, mi lascerei ammazzare dieci volte prima di consentire a che si sciogliesse. Ma anziché lasciar ammazzar me, proverei ad ammazzar gli altri. Non temo né Borbonici, né Mazziniani, né municipali. Gridino, tumultino, insorgano, sono pronto a combatterli nel Parlamento e nella piazza. Finché avremo un voto di maggioranza ed un battaglione non cederemo un palmo. Tutto sta a convincere i partiti di questa nostra irremovibile determinazione».

Lo Stato liberale, dunque, rivendica esplicitamente l'uso della forza contro i suoi nemici politici e sociali.

Al tempo stesso è vincolato alle garanzie costituzionali e al sistema dei diritti che costituiscono la sua stessa ragione storica. L'ordine dei liberali cerca quindi un difficile equilibrio tra sicurezza e diritti individuali, e tenta di sfuggire tanto agli eccessi dell'assolutismo quanto a quelli della dittatura rivoluzionaria.

 


 

  Il brigante Vincenzo Palmieri e tre suoi uomini dopo essere stati uccisi - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Rom

Gli strumenti principali dell'ordine liberale e del suo apparato di repressione furono la magistratura, le forze di polizia e l'esercito. Da segnalare innanzitutto lo sviluppo, accanto agli strumenti processuali ordinari, di forme di repressione sottratte di fatto al controllo della magistratura e gestite direttamente dal potere esecutivo attraverso i suoi rappresentanti in periferia, prefetti, procuratori del re, questori e comandanti dei carabinieri. L'“ammonimento” e il “domicilio coatto” furono gli strumenti principali con cui lo Stato unitario represse quelli che lui giudicava i comportamenti devianti ma che non rientravano in una fattispecie penale definita.

Un ruolo decisivo svolse poi l'esercito, chiamato spesso ad intervenire a difesa dell'ordinamento costituzionale. Lo strumento adoperato fu la proclamazione dello stato d'assedio (in Sicilia e nelle province napoletane nel 1862, nel 1866 a Palermo). Lo stato d'assedio significava l'attribuzione della giurisdizione ai tribunali militari, che le autorità del nuovo Stato preferivano all'impiego della magistratura ordinaria, troppo lenta, e spesso troppo poco severa nel comminare le condanne.

A questi strumenti si aggiunsero le misure speciali applicate nel Mezzogiorno per combattere il brigantaggio e culminanti con l'emanazione della legge Pica, dal nome del deputato liberale abruzzese Giuseppe Pica, che se ne fece promotore il 1° agosto del 1863. Appoggiata da una parte della Sinistra, la legge stabiliva che nelle provincie dichiarate dal governo «in stato di brigantaggio» fossero i tribunali militari a giudicare i briganti e i loro complici. Comminava poi la pena di morte a chi si fosse opposto con le armi all'autorità dello Stato e prometteva forti sconti di pena a chi invece si fosse costituito entro un mese dalla sua entrata in vigore. Istituiva inoltre giunte provinciali autorizzate ad assegnare al domicilio coatto oziosi, vagabondi, camorristi e tutti coloro che fossero sospettati di aver ospitato o protetto in qualche modo i briganti. Autorizzava infine l'arruolamento di squadre locali di volontari per combattere il brigantaggio.

Lo stato di eccezione di molte provincie meridionali in cui si svolsero il processo di costruzione dello Stato unitario e poi il suo consolidamento non solo fece dell'apparato militare uno strumento decisivo sul terreno dell'ordine pubblico, ma determinò in profondità lo stesso modello organizzativo dell'esercito italiano.

Per rompere il localismo e affermare una prospettiva nazionale anche fra le classi popolari fu scelto il reclutamento proveniente da più regioni per ogni unità, creando così dei reggimenti geograficamente misti. Contadini analfabeti, lontani da casa e che parlavano dialetti reciprocamente inaccessibili, erano eventualmente in grado di coalizzarsi con maggiore difficoltà. Inoltre questo sistema dava maggiori garanzie all'uso dell'esercito in funzione di ordine pubblico, svincolando la residenza dell'unità dalla provenienza dei suoi uomini.


 

 
M. Cammarano - Un bersagliere  - olio su tela - Galleria Nazionale d'arte moderna - Roma  

Le esigenze militari di controllo delle regioni meridionali furono decisive anche nella creazione delle prime infrastrutture logistiche. Tra il 1863 e il 1866, quelle ragioni determinarono ad esempio la rapidità dei tempi di progettazione e di esecuzione della ferrovia adriatica lungo il tracciato Ancona-Lecce. La linea ricopriva una funzione strategica di primaria importanza per i movimenti delle truppe e la rapidità dei loro spostamenti verso le zone dominate dal brigantaggio, in quanto fu la prima comunicazione ferroviaria tra le province meridionali del nuovo Stato e l'Italia del Centro-Nord.

Solo più tardi fu infatti realizzata la linea tirrenica, da Battipaglia fino a Reggio Calabria (1883-1895), che dovette superare tra l'altro ostacoli tecnici (viadotti e gallerie) che il progetto adriatico non aveva incontrato.

A problemi di natura analoga rispose inoltre la diffusione della rete telegrafica al Sud, che in una prima fase servì le esigenze di collegamento tra prefetture e comandi militari, come nel caso di Potenza dove il prefetto sotto l'urgenza degli eventi militari portò a compimento la rete locale che metteva in comunicazione il capoluogo con le zone di più intensa guerriglia come Tricarico, Melfi, Lagonegro.

La fragilità delle basi sociali dello Stato unitario condizionò pesantemente la logica costitutiva e il funzionamento del suo apparato repressivo. L'elemento unificante di questo apparato, decisivo per la sua efficacia, almeno nella fase iniziale della costruzione dello Stato unitario, fu sicuramente l'omogeneità sociale e culturale dei suoi vertici con la classe politica liberale. Avevano origini sociali comuni e condividevano gli stessi valori.

Il Senato era il luogo in cui questa comunanza trovava un'espressione evidente e una rappresentazione unitaria, come in una foto di gruppo della classe dirigente dello Stato unitario, dal momento che esso era composto in grande misura, come si sa, da membri in servizio o a riposo dell'alta burocrazia militare e civile dello Stato.

L'alta magistratura, procuratori e presidenti di tribunale, procuratori generali e primi presidenti di corte d'appello, prefetti, che attraverso i questori svolgevano decisive funzioni di direzione e di coordinamento sul terreno dell'ordine e della sicurezza pubblica, capi militari, grazie ai legami organici con l'élite unitaria poterono assicurare un collegamento diretto tra il centro e le molte periferie del nuovo Regno, e così una rapida trasmissione di informazioni, rispondendo con prontezza alle indicazioni dell'autorità politica e alle sue decisioni.


Schede collegate: guerra, unificazione amministrativa, piemontesizzazione, plebisciti

 

Briganti

La repressione del brigantaggio ebbe un ruolo decisivo nella strutturazione dell'apparato repressivo dello Stato unitario. Sul ruolo dello stato d'assedio e sull'impiego dei tribunali militari in sostituzione della magistratura ordinaria Pubblichiamo di seguito alcune pagine dell'illuminante studio di Roberto Martucci. Inoltre, tratto dai documenti in appendice al suo lavoro, il testo del regolamento di attuazione della legge Pica.

R. Martucci, Emergenza e tutela dell'ordine pubblico nell'Italia liberale: regime eccezionale e leggi per la repressione dei reati di brigantaggio. 1861-1865, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 79-91, 240-244.

 

Il dibattito parlamentare sulla repressione del brigantaggio 1862-1863

I metodi usati dal giovane Stato unitario per reprimere il brigantaggio nelle province meridionali del Regno suscitarono un acceso dibattito parlamentare e vivaci polemiche tra Destra e Sinistra. Riportiamo di seguito alcune pagine tratte dal libro di Giuseppe De Cesare che ricostruisce la contesa parlamentare in quei primi anni dell'Unità.

G. De Cesare, La formazione dello Stato unitario, Milano, Giuffré, 1978, pp. 131-132, 192-193, 199-202.

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