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L'Italia negli anni del Risorgimento » L'Italia preunitaria  
 


 

 
G. B. Borghesi - Maria Luisa d'Asburgo agli inizi del secolo XIX - Galleria Nazionale - Parma  

Con la sistemazione territoriale e dinastica decisa dal Congresso di Vienna nel 1815 il predominio austriaco sulla penisola italiana risultava pressoché generale. Quasi tutti gli Stati in cui l'Italia venne divisa (dieci in tutto) erano direttamente o indirettamente legati all'Austria: o perché divenuti parte integrante dell'Impero austriaco (così i territori che andarono a costituire il Regno Lombardo-Veneto); o perché assegnati a principi imperiali; o perché, ed era questo il caso dello Stato pontificio e del Regno delle Due Sicilie, erano legati all'Austria sulla base di accordi diplomatico-militari.

Degli Stati minori del centro-nord, ben tre erano stati attribuiti, appunto, a principi imperiali: il Ducato di Parma a Maria Luisa d'Asburgo Lorena, ex imperatrice dei francesi e figlia dell'imperatore d'Austria; il Ducato di Modena a Francesco IV d'Austria-Este; il Granducato di Toscana a Ferdinando III di Asburgo-Lorena, fratello minore dell'Imperatore.

Quanto agli altri Stati minori, l'antica Repubblica di Lucca venne trasformata in Ducato e attribuita a Maria Luisa di Borbone-Parma, mentre il Ducato di Massa e Carrara venne affidato a titolo vitalizio a Maria Beatrice Cybo d'Este, madre di Francesco IV.

Per alcuni Stati, la situazione si modificò nel tempo: nel 1829 il Ducato di Massa e Carrara venne incorporato nel Ducato di Modena; inoltre, come stabilito da specifiche clausole, alla morte di Maria Luisa d'Austria, avvenuta nel dicembre 1847, il Ducato di Parma passò ai Borboni di Parma, insediati precedentemente nel Ducato di Lucca; al momento di tale passaggio, il Ducato di Lucca fu ceduto da Carlo Ludovico di Borbone e annesso al Granducato di Toscana.

L'Austria aveva ottenuto inoltre il diritto di presidiare le cittadelle di Ferrara, Piacenza e Comacchio, riservandosi in questo modo la possibilità di intervenire militarmente nei territori dello Stato pontificio e da lì nel Regno delle Due Sicilie. A rendere saldo e inattaccabile il suo dominio contribuivano dunque vari fattori: la continuità geografica delle aree su cui esso si estendeva, la parcellizzazione territoriale della penisola, la debolezza interna degli Stati, la loro impossibilità di disporre di eserciti efficienti. In questo scenario l'unica vera eccezione era costituita dal Regno di Sardegna, Stato indipendente governato dai Savoia.

 


 

  L. Bernero - Vittorio Emanuele I

Il riordinamento interno degli Stati non seguì un indirizzo uniforme e la politica dei governi, nella fase di transizione al nuovo ordine, fu in parte diversa a seconda degli Stati.

Alcuni evitarono una rottura troppo netta con l'esperienza napoleonica e con le riforme che l'avevano accompagnata (dal codice civile all'ordinamento amministrativo, dal sistema scolastico statale all'abolizione o limitazione dei privilegi di ceto), altri si preoccuparono di cancellarne sistematicamente le tracce.

In generale, però, un completo ritorno al passato non fu possibile: nel complesso, gli Stati restaurati ereditarono largamente la legislazione napoleonica, alcuni istituti e talvolta persino il personale burocratico perché necessario al funzionamento della nuova amministrazione statale.

Nel ridisegnare le strutture dello Stato, ad eccezione del Lombardo-Veneto il principale modello di riferimento fu rappresentato dalla «monarchia amministrativa» (Alfonso Scirocco) d'ispirazione francese.

Tale forma di governo conservava il principio dell'accentramento, prevedendo una distribuzione di competenze dal centro alla periferia attraverso un vasto apparato burocratico. Nessun sovrano concesse carte costituzionali e Ferdinando I di Borbone, rientrato a Napoli, abolì quella del 1812 concessa alla Sicilia. Quanto alla legislazione, alcuni Stati rimisero in vigore i vecchi ordinamenti, altri conservarono la legislazione napoleonica, integralmente (così il Regno di Napoli) o in parte.

Sorvolando sugli Stati minori, a distaccarsi maggiormente dal modello napoleonico furono lo Stato della Chiesa, per le sue particolari caratteristiche, e il Regno di Sardegna. In quest'ultimo la Restaurazione ebbe un carattere piuttosto retrivo e la politica dei Savoia mirò a ricostituire il sistema di governo preesistente. Vittorio Emanuele I abrogò in blocco la legislazione napoleonica; epurò i quadri amministrativi e militari, attribuendo quasi tutte le cariche più importanti a quei nobili che l'avevano seguito in Sardegna o che, rimasti in Piemonte, non avevano servito il regime napoleonico; reintrodusse la legislazione che limitava la libertà di culto per le minoranze religiose (valdesi ed ebrei); ristabilì il controllo della Chiesa sull'istruzione; ripristinò molti antichi privilegi dei nobili.

Nei territori dello Stato pontificio tornò Pio VII, affiancato dal cardinale Ercole Consalvi, suo segretario di Stato. Consalvi riordinò dal punto di vista amministrativo, giudiziario e finanziario i territori dello Stato pontificio, e conservò l'abolizione di tutta una serie di privilegi e giurisdizioni baronali. Ma la politica di relativa moderazione del pontefice e del suo segretario di Stato dovette fare i conti con l'opposizione dei cardinali «zelanti», i quali avevano accolto con ostilità le riforme introdotte. Fu così che Consalvi dovette rinunciare al suo progetto di aprire ai laici l'accesso alle più alte cariche pubbliche.

Nel Regno di Napoli, per volere del cancelliere austriaco Metternich, la Restaurazione dei Borboni non ebbe il carattere di reazione cieca e brutale; al tempo stesso, però, l'Austria pretese la garanzia che in quei territori non avvenissero sviluppi in senso costituzionale.

Il codice napoleonico fu conservato (e poi esteso anche alla Sicilia dopo l'unificazione del Regno delle Due Sicilie, dove entrò in vigore nel marzo 1819). Anche la legislazione antifeudale fu mantenuta ed estesa alla Sicilia. Non troppo diversamente da quanto avveniva nello Stato pontificio, il primo ministro Luigi de' Medici svolse un'opera di riorganizzazione amministrativa, finanziaria e legislativa, entrando in dissidio con elementi reazionari, rappresentati dal principe di Canosa, ministro di polizia.

Negli Stati minori controllati dall'Austria (Ducato di Parma, Ducato di Modena, Granducato di Toscana) la Restaurazione ebbe caratteri in parte diversi. Nel primo Maria Luisa d'Asburgo Lorena mantenne in un primo momento la legislazione napoleonica; insieme al generale austriaco Neipperg, suo primo ministro ma anche amante, governò con una certa moderazione. La repressione poliziesca, anche dopo i moti del 1831, fu relativamente mite. Una particolare attenzione fu data all'istruzione pubblica e alle opere pubbliche (in particolare prosciugando ampie zone paludose).

La reazione fu decisamente più dura nel Ducato di Modena. Francesco IV d'Austria mise ai margini ministri e funzionari che avevano servito il precedente Regno italico, sostituendoli con nobili di sua fiducia; diede inoltre ampio spazio alle correnti cattoliche più reazionarie. Lo Stato ebbe un carattere patrimoniale particolarmente accentuato, nel senso che «l'amministrazione finanziaria pubblica fu in gran parte confusa dal duca con quella delle sue sostanze private, che erano cospicue essendo egli l'erede degli Estensi e dei Cybo» (Giorgio Candeloro).

Dotato di un forte senso degli affari e qualità di amministratore, Francesco IV curò i suoi interessi privati ma, al tempo stesso, incoraggiò la vita economica soprattutto attraverso le opere pubbliche, avviando la bonifica di vaste zone della bassa pianura. Parallelamente, sognò di regnare su un più vasto Stato. Avendo sposato nel 1812 la principessa Maria Beatrice di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I, ambì ad una successione al trono sabaudo, ma analoghe aspirazioni ebbe anche rispetto al Lombardo-Veneto.


 

 
P. Benvenuti - Leopoldo II granduca di Toscana - 1868 ca.  

Nel Granducato di Toscana il governo di Ferdinando III d'Asburgo Lorena (e poi di suo figlio Leopoldo II dal 1824) si riallacciò alla tradizione dell'assolutismo illuminato e si avvalse di ministri moderati e di notevoli capacità: Vittorio Fossombroni, un ingegnere idraulico di grande valore che praticamente diresse la politica toscana per trent'anni, Neri Corsini, ministro dell'Interno, Leonardo Frullani, ministro delle Finanze.

I codici napoleonici furono in questo caso sostituiti dalla precedente legislazione leopoldina, ma ciò non segnò un regresso perché questa era molto avanzata. Nel clima di relativa tolleranza che caratterizzò la Restaurazione in Toscana poté nascere una rivista come «L'Antologia», punto di riferimento per molti liberali italiani. Gli avvenimenti del 1830-1831 determinarono una più severa sorveglianza da parte della polizia e nel 1833 «L'Antologia» fu soppressa.

Nel Granducato l'attività economica presentava una certa vitalità, pur rimanendo più statica rispetto a quanto avveniva allora in Lombardia e Piemonte. La libertà di importare e esportare grano, legata alla politica liberistica del governo granducale, non diede grande impulso alla produzione agricola; ma il limitato sviluppo dell'agricoltura fu anche il prodotto della diffusione che aveva in Toscana il sistema della mezzadria, caratterizzato da una produttività limitata.

Non a caso, negli anni Trenta e poi fino all'Unità, molto si discusse dell'opportunità di sostituire la mezzadria con l'affitto. Soprattutto durante il regno di Leopoldo II vennero attuati vasti lavori di bonifica in particolare nella Maremma grossetana e pisana. L'industria – della lana e della seta, ma anche della carta e della paglia (nonché dei cappelli di paglia) – fece alcuni progressi, non sufficienti tuttavia a modificare sensibilmente la struttura economica del Granducato. Con l'annessione del Principato di Piombino e dell'isola d'Elba, il Granducato era anche divenuto un importante produttore di ferro. Da segnalare infine che a partire dagli anni Venti si formò in Toscana un sistema creditizio abbastanza moderno, rispetto a quanto esisteva negli altri Stati italiani. Proprio a questo fatto si collegava lo sviluppo di società per azioni rivolte soprattutto alla costruzione di ferrovie e all'attività mineraria.

Autoritarismo e al tempo stesso buona amministrazione caratterizzarono invece la dominazione austriaca nel Lombardo-Veneto. Qui i codici napoleonici, salvo quello commerciale, furono sostituiti con quelli in uso nell'impero austriaco, che però non erano molto diversi da quelli francesi, avendo anch'essi un carattere piuttosto moderno.

Scarsa fu l'autonomia amministrativa concessa alla regione e particolarmente gravoso per le popolazioni fu il sistema tributario, anche se non arrestò lo sviluppo economico lombardo. Strettissima era inoltre la sorveglianza del governo e della polizia contro le società segrete attive nel territorio e i moti del 1820-1821 scatenarono una prima e durissima repressione. La censura operava una stretta sorveglianza in campo intellettuale; ciò nonostante, il Lombardo-Veneto partecipò alla vita culturale europea in modo più intenso rispetto al resto d'Italia e Milano fu un importante centro culturale.

In una situazione politica generale fondata sull'assolutismo, sul dominio straniero e sulla divisione territoriale, l'Italia preunitaria fu attraversata tuttavia da alcune trasformazioni di rilievo, a cominciare da una crescita demografica quale il Paese non aveva mai conosciuta prima. Complessivamente gli Stati preunitari contavano, al 1814, circa 20 milioni di persone. Tra il 1800 e il 1850 la popolazione passò da 18 a 24 milioni di abitanti. L'aumento demografico era rilevante, ma comunque inferiore rispetto a quello che si stava verificando nei Paesi dell'Europa nord-occidentale. Esso era dovuto sia al decremento della mortalità (dovuto a sua volta a una diminuzione delle carestie e alla fine delle grandi epidemie) sia (ma si tratta di un'ipotesi) all'aumento delle superfici coltivabili, in precedenza boschi o paludi.

I tre quarti dell'intera popolazione erano concentrati nel Regno di Sardegna, nel Lombardo-Veneto e nel Regno delle Due Sicilie, lo Stato più popoloso di tutti. L'80-85% della popolazione viveva nelle campagne e nei borghi rurali, il resto era concentrato prevalentemente nelle grandi città come Napoli, Milano, Palermo, Roma, Firenze e Torino. La mortalità, soprattutto infantile, continuava ad essere elevata: alla metà dell'Ottocento colpiva complessivamente il 25% dei nati prima del raggiungimento del primo anno di vita, mentre la speranza di vita alla nascita superava di poco i trent'anni.

 
T. Signorini - L'alzaia - 1864 - olio su tela - Collezione J. L. Baroni - Londra
Il quadro rappresenta dei braccianti durante il loro lavoro, impegnati a trascinare con delle corde una chiatta, lungo l'argine dell'Arno (chiamato appunto "alzaia"). E' manifesto della condizione di sfruttati dei contadini
 

Ciò era dovuto, specie nelle campagne, alla malnutrizione e alle pessime condizioni igienico-sanitarie. L'alimentazione assai povera delle masse contadine (per lo più a base di mais) aveva favorito l'affermazione della pellagra, diffusasi dapprima nelle regioni del Nord e poi anche in quelle del Centro-Sud. Nelle zone paludose restava alto il rischio di contrarre la malaria e le epidemie di colera furono diverse nel corso dell'Ottocento.

L'economia dell'Italia preunitaria era quasi esclusivamente agricola. Le trasformazioni più rilevanti si ebbero grazie all'aumento delle aree coltivabili e ai miglioramenti nelle tecniche di coltivazione. Nel corso degli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento vennero compiute importanti opere idrauliche e di canalizzazione delle acque, mentre l'impiego di fertilizzanti chimici fece aumentare la produzione dei cereali e produsse miglioramenti qualitativi soprattutto nella viticoltura; parallelamente, si andarono affermando colture più redditizie, come il gelso per i bachi da seta, la canapa, il riso e gli agrumi.

Le innovazioni e i miglioramenti riguardarono però solo alcune aree geografiche, in special modo la Lombardia (in misura minore il Veneto), il Piemonte e la Toscana. In questi Stati i governi sostenevano e incoraggiavano la modernizzazione in campo agricolo anche attraverso lo studio dell'economia e dell'agricoltura.

Nacque in Toscana, nel 1834, il primo istituto di studi agrari, mentre il piemontese Cavour fu autore di un saggio sull'impiego dei fertilizzanti. Un ruolo importante ebbero le società agrarie dedite allo studio dei problemi dell'agricoltura, la pubblicazioni di periodici agrari, i congressi degli scienziati nei quali si discuteva di agronomia e di innovazioni tecniche, dell'importanza delle opere di bonifica, della libertà di commercio.

Cambiamenti assai meno rilevanti si ebbero nelle zone rurali del Centro e del Meridione. Qui la situazione agraria si presentava piuttosto statica sotto il profilo dell'innovazione, e la società agraria «conserva[va] alcuni aspetti tipicamente feudali, poiché l'agricoltura era condotta quasi sempre con metodi tradizionali e lo stato di inferiorità grave dei contadini rispetto ai proprietari implicava spesso la conservazione di legami di soggezione personale» (Giorgio Candeloro). L'economia agricola era incentrata principalmente sulla produzione del grano e dell'olio d'oliva (che costituiva la principale voce d'esportazione), della vite (nelle Puglie, in Campania e in Calabria), della canapa; la prima metà dell'Ottocento vide inoltre un aumento delle produzioni ortofrutticole (fiorente era l'esportazione della frutta secca) e una diffusione della gelsicoltura e della bachicoltura.

Lungo tutta la penisola l'industria era una realtà marginale e aveva all'epoca un carattere prevalentemente manifatturiero. Alcuni passi importanti vennero compiuti in quei settori della produzione legati dalla terra, definiti all'epoca «naturali» da Cavour: l'industria alimentare (lattiero-casearia) e l'industria tessile (lana, cotone, seta, lino). Quest'ultima costituiva una realtà importante in Lombardia, in Piemonte (nel Biellese), in Toscana (Prato) e nel Veneto (nel Vicentino).

Fiorentissima in Lombardia era la produzione della seta, diretta per lo più verso i mercati di Londra e di Lione, ma più tardi anche della Svizzera, dell'Austria, della Germania, della Russia. Del resto già al 1814 la Lombardia aveva legami con vari Paesi europei, grazie anche all'esistenza di una rete stradale migliore rispetto al resto della penisola.

Nel Regno delle Due Sicilie l'attività industriale era nel complesso limitata e concentrata nell'area campana. La lavorazione della seta, del lino e della lana conservò in genere un carattere domestico e artigianale, senza significativi progressi sul piano dell'innovazione tecnica. Faceva eccezione l'industria cotoniera in Campania, dove sorsero moderne fabbriche ad opera di imprenditori stranieri, soprattutto svizzeri.

Napoli era un importante centro di lavorazione e di esportazione di prodotti di seta e di lino e ospitava anche uno dei grandi stabilimenti siderurgici del Paese. Altrove (Puglia, Basilicata e Campania) era presente l'industria alimentare, con una produzione agricola specializzata (olio, vino, formaggi, frutta, seta), mentre in Sicilia si trovavano importanti zolfatare (lo zolfo era molto richiesto da parte dei paesi più progrediti d'Europa, soprattutto Inghilterra e Francia, perché impiegato nell'industria chimica).

I parziali progressi in campo agricolo-industriale erano però penalizzati da alcuni limiti generali della penisola: il ritardo dello sviluppo della rete ferroviaria (in molte aree inesistente fino all'Unità), l'insufficienza della domanda interna (dovuta alla miseria della popolazione contadina), l'assenza di un mercato unico nazionale. Ogni area statale costituiva un mercato a sé stante, con propri dazi (interni, esterni e di transito), unità di peso e di misura, norme amministrative.

 
S. Fergola - Inaugurazione della prima ferrovia italiana Napoli-Portici - Dipinto - Museo Nazionale di San Martino - Napoli  

Tutti i governi (con la sola eccezione del Granducato di Toscana) avevano messo in atto una politica protezionistica, con tariffe doganali che limitavano le relazioni commerciali fra gli Stati italiani e con l'Europa. Il mercato interno a ciascuno Stato era frazionato a sua volta dalla presenza di barriere doganali interne.

Per esempio, nei primi anni della dominazione austriaca, nei territori del Lombardo-Veneto ne esistevano due: una sul Mincio separava la Lombardia dal Veneto, l'altra sul confine tra il Lombardo-Veneto e il resto dell'Impero austriaco. L'esigenza di un mercato nazionale, ad imitazione di modelli europei, fu fortemente avvertita dagli strati più attivi della borghesia liberale, ma il progetto di una lega doganale fallì di fronte alle enormi difficoltà di attuazione.

In una situazione complessivamente asfittica sul piano dello sviluppo economico, la grande e vera trasformazione che si produsse nell'Italia preunitaria fu di natura politica e avvenne in conseguenza degli avvenimenti del 1848-1849, con la concessione di carte costituzionali da parte dei maggiori Stati della penisola (Piemonte, Toscana, Stato pontificio e Regno delle Due Sicilie) e la guerra contro l'Austria (prima guerra d'indipendenza).

Il fallimento delle rivoluzioni del 1848-1849 segnò l'arresto di ogni esperimento riformatore e il ritorno dei sovrani legittimi produsse una dura reazione nei confronti del movimento liberale e nazionale. In tale scenario, il Piemonte rimaneva l'unico Stato costituzionale della penisola e la costituzione concessa nel 1848 da Carlo Alberto era destinata a diventare la legge fondamentale del nuovo Regno d'Italia. Nell'arco di un decennio (1848-1859), grazie soprattutto all'azione di Cavour, lo sviluppo in ogni campo della vita economica e civile avrebbe differenziato il Piemonte da tutti gli altri Stati assoluti della penisola.

Nella storia dell'Italia preunitaria, dunque, il 1848 rappresentò uno spartiacque: non soltanto per gli sviluppi in senso costituzionale, ma perché prefigurò una soluzione di tipo nuovo per il problema italiano, nella prospettiva di uno Stato-nazione unificato sotto la monarchia sabauda.


Schede collegate: Il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza; la rivoluzione del 1820-1821 a Napoli e in Sicilia; la rivoluzione del 1821 in Piemonte; i processi milanesi del 1820-1823; la rivoluzione del 1831 nei Ducati e nello Stato pontificio; il governo del Lombardo-Veneto; l'apparato repressivo; Cavour; Pio IX; Vittorio Emanuele II; lo Stato della Chiesa; la politica della Santa Sede

 

I sovrani della Restaurazione

G. Pécout, Il lungo Risorgimento. La nascita dell'Italia contemporanea (1770-1922), a cura di R. Balzani, Milano, Mondadori, 1999, pp. 83-84.

 

La popolazione italiana nella prima metà dell'Ottocento

G. Sabbatucci-V. Vidotto, Storia d'Italia, I, Le premesse dell'Unità. Dalla fine del Settecento al 1861, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 475.

 

La popolazione italiana in alcune grandi città

G. Sabbatucci-V. Vidotto, Storia d'Italia, I, Le premesse dell'Unità. Dalla fine del Settecento al 1861, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 475.

 

Tassi di scolarità elementare

I giorni della Storia d'Italia. Dal Risorgimento a oggi: cronaca quotidiana dal 1815, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1997, p. 51.

 

Esportazione della seta dalla Lombardia

I giorni della Storia d'Italia. Dal Risorgimento a oggi: cronaca quotidiana dal 1815, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1997, p. 51.

 

La rete ferroviaria italiana nel 1848 (mappa)

A. Scirocco, L'Italia del Risorgimento 1800-1860, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 238.

 

La rete ferroviaria italiana nel febbraio 1861 (mappa)

A. Scirocco, L'Italia del Risorgimento 1800-1860, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 240.

 

Lo sviluppo delle ferrovie dal 1839 al 1859

I giorni della Storia d'Italia. Dal Risorgimento a oggi: cronaca quotidiana dal 1815, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1997, p. 77.

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