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I movimenti politici » Il garibaldinismo  
 
 


 

  Numero speciale de “L'illustrazione italiana” per il cinquantenario dei Mille - 1° maggio 1910

La spedizione dei Mille rappresentò il momento fondativo del garibaldinismo e la consacrazione definitiva della leadership di Giuseppe Garibaldi, il condottiero, che con le sue azioni, era stato capace di condurre il “popolo” alla vittoria.

Totalmente privo di basi teoriche, sia in ambito politico che militare, il movimento garibaldino traeva le sue origini politiche, sociali e culturali dal mazzinianesimo e dal volontariato militare del Risorgimento.

Il mazzinianesimo si rifletteva in una cultura politica diffusa su tutto il territorio nazionale che si prefiggeva il raggiungimento di un'Italia repubblicana, unita e indipendente attraverso un'insurrezione popolare. Il volontariato militare, ovvero la formazione di bande di uomini armati che combattevano per l'indipendenza dell'Italia, aveva caratterizzato tutto il processo risorgimentale.

Più di 300 bande, ad esempio, erano sorte nel 1848 in tutta la Penisola e migliaia erano stati i volontari che avevano già combattuto sotto il comando di Garibaldi nel 1848, durante la prima guerra d'indipendenza, nel 1849, per la difesa della Repubblica romana e nella “fuga” verso Venezia e, nel 1859, durante la seconda guerra d'indipendenza.

Il garibaldinismo non ebbe mai una organizzazione politica di tipo partitico o una rappresentanza elettorale strutturata in un gruppo parlamentare, ma incarnò, piuttosto, un'antropologia politica, un modo d'essere e uno stile di vita, una fedeltà personale verso un uomo simbolo come Garibaldi

I tratti distintivi del movimento garibaldino consistevano in un forte afflato ideale e un vigoroso slancio sprezzante di ogni pericolo durante la battaglia. Ugualmente forti nei suoi uomini erano l'atteggiamento personalmente disinteressato verso il potere e in una forte spinta verso l'internazionalismo, nel costante richiamo ai giovani e la costante ostilità nei confronti della Chiesa e le gerarchie ecclesiastiche.

Il garibaldinismo ebbe una caratura militar-rivoluzionaria e una vocazione politica al tempo stesso nazionale ed internazionale. I garibaldini, infatti, formavano un mosaico di politici ed intellettuali, borghesi e artigiani, giovani e idealisti che svolse un ruolo determinante nel processo di unità nazionale ed esercitò una notevole influenza anche al di fuori dei confini italiani.

 


 

  U. Coromaldi - Camicie Rosse - 1898 - Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea - Roma

In Europa orientale, Garibaldi e i garibaldini divennero l'oggetto delle speranze di quei democratici locali che, auspicando una soluzione alle loro rivendicazioni nazionali sulla scia dell'impresa esemplare dei Mille, sostenevano la necessità di una spedizione nei Balcani che avrebbe messo in crisi l'Impero asburgico.

E in Polonia, nel 1863, il garibaldino Francesco Nullo venne ucciso in battaglia mentre era alla testa di una formazione di circa 600 volontari, tra cui alcune decine di camicie rosse, accorsi a combattere accanto agli insorti polacchi contro la dominazione russa.

In Italia, il garibaldinismo rappresentò indubbiamente la più importante forma di adesione del “popolo in armi” al processo di unità nazionale. I garibaldini rappresentarono il simbolo dell'iniziativa popolar-democratica che si contrapponeva all'iniziativa statale del “partito” liberal-monarchico.

Il primo nucleo di questo movimento fu costituito dall'Esercito meridionale garibaldino costituitosi in Sicilia, il 4 giugno 1860, durante la spedizione dei Mille e bizzarramente autonominatosi come 15° divisione dell'Esercito sardo. Nel novembre del 1860, però, dopo la partenza di Garibaldi per Caprera, il re Vittorio Emanuele II firmò il decreto che determinava lo scioglimento dell'esercito meridionale.

L'acceso dibattito che si svolse nella primavera del 1861 sulla sorte dei reduci della spedizione dei Mille trovò contrapposte alcune personalità come Manfredo Fanti, che vide nei volontari in camicia rossa degli uomini nutriti di uno «spontaneo entusiasmo patriottico» e perciò utili solo in alcuni momenti di emergenza, e soldati di Garibaldi come Francesco Crispi che, invece, sottolineava il contributo positivo dato alla rivoluzione dai garibaldini e al processo di costruzione e consolidamento di uno Stato nazionale.

La formazione del “Corpo volontari italiano”, nell'aprile del 1861, nel quale confluirono i garibaldini, e il suo successivo scioglimento, nel marzo del 1862, sancì, però, l'esclusione dei garibaldini dalle file dell'esercito regolare nel timore più che fondato di una politicizzazione delle forze armate in antagonismo al potere civile. I garibaldini furono, di fatto, esclusi e non integrati nel nuovo Stato nazionale che essi stessi avevano contribuito a formare.

Negli anni successivi, si cercò, da un lato, di neutralizzare il garibaldinismo con un uso generoso di onorificenze – perfino con una pensione per i cosiddetti «Mille di Marsala» – create come forma di compenso per la mancata integrazione nell'esercito; dall'altro lato, i garibaldini vennero sottoposti ad un'opera sistematica di controllo poliziesco, qualificandoli come «sovversivi» e rivoluzionari pericolosi.

All'emarginazione politica attuato dalla classe dirigente liberale corrispose, però, anche un'autoemarginazione da parte di molti degli stessi garibaldini attraverso l'organizzazione di alcune iniziative politiche al di fuori del Parlamento o addirittura contro il governo italiano, come le spedizioni ad Aspromonte nel 1862 e a Mentana nel 1867.

Garibaldi, sostenuto da un ambiguo atteggiamento della monarchia, si fece promotore di queste due spedizioni, che si prefiggevano di liberare Roma e di abbattere lo Stato pontificio. Gli esiti furono fallimentari ma misero in evidenza, ancora una volta, la grande capacità di attrazione e di mobilitazione del volontarismo garibaldino.


 

 
A. Blasetti - La partenza da Quarto. La scena del film "1860" richiama un soggetto classico dell'epica risorgimentale: l'addio del garibaldino alla madre  

Neanche fallimenti come quelli di Aspromonte e Mentana offuscarono la capacità attrattiva della figura di Garibaldi e della camicia rossa che, all'opposto, conservò una carica patriottico-mobilitante, soprattutto tra le giovani generazioni, nella terza guerra d'indipendenza nel 1866, nella campagna dei Vosgi nell'inverno del 1870-1871 e anche dopo la morte dello stesso Garibaldi, almeno fino alla Grande Guerra.

Le spedizioni di volontari garibaldini nella guerra russo-turca del 1897, nel conflitto in Libia del 1911-12 e nelle Argonne, in Francia, durante la prima guerra mondiale, prima che l'Italia decidesse di entrare nel conflitto, testimoniano la grande capacità attrattiva e mobilitante del garibaldinismo.

Dopo la morte di Garibaldi in molti hanno rivendicato un legame con il lascito ideale dell'eroe ed è possibile individuare tracce del deposito storico del garibaldinismo, al tempo stesso patriottico ed internazionalista, popolare e borghese, in differenti tradizioni politiche novecentesche: dal radicalismo di destra a quello di sinistra, dal movimento operaio al nazionalismo, dal fascismo all'antifascismo.


Schede collegate: Giuseppe Garibaldi

 

Garibaldi e i garibaldini

In queste pagine, Eva Cecchinato, in uno degli studi più recenti e più importanti sul garibaldinismo, tratteggia alcune dinamiche interne agli ambienti garibaldini sottolineando le attese e gli umori che si proiettavano verso il nizzardo.

E. Cecchinato, Camicie rosse, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 30-43.

 

I garibaldini di Dumas

In queste pagine Alexandre Dumas, uno dei più importanti “biografi” di Garibaldi, disegna un affresco celebrativo dell'esercito garibaldino in cui l'eroismo e la spavalderia dei combattenti si amalgamano con un clima di semplicità e di ostentato egualitarismo.

A. Dumas, I garibaldini, Roma, Editori Riuniti, 1982, pp. 34-41.

 

I garibaldini di Bandi

A differenza di Giuseppe Cesare Abba e di Alexandre Dumas che tendono a mitizzare l'impresa garibaldina fornendo un'immagine per certi aspetti oleografica del nizzardo e della spedizione partita da Quarto, Giuseppe Bandi nella sua opera I Mille fornisce un'immagine non convenzionale e, in alcuni passaggi, persino anti-eroica di Garibaldi. Le pagine che qui riproduciamo si riferiscono alla battaglia di Calatafimi.

G. Bandi, La battaglia di Calatafimi, in Antologia di scrittori garibaldini, a cura di G. Mariano, Bologna, Cappelli, 1960, pp. 131-155.

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