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Eventi » La seconda guerra di indipendenza  
 

 

 
Carta storica delle operazioni militari dei Cacciatori delle Alpi durante la seconda guerra d'indipendenza  

Il 23 aprile 1859, l'Austria inviò un ultimatum al Piemonte nel quale chiedeva tra l'altro lo scioglimento dei Cacciatori della Alpi e la cessazione delle manovre militari sul confine. La risposta negativa di Cavour, consegnata agli inviati austriaci nel pomeriggio del 26, determinò, il giorno successivo, l'invasione del Piemonte da parte delle truppe imperiali comandate dal maresciallo ungherese Gyulai e l'inizio delle ostilità.

Cominciato il passaggio del Ticino, in un primo momento gli austriaci decisero di attaccare sulla destra del Po, tra Alessandria e Casale, dove era concentrato il grosso dell'esercito piemontese. Ritenendo molto presto l'operazione eccessivamente ardua, Gyulai si diresse, invece, verso Torino e occupò Biella e Vercelli. Il 9 maggio optò quindi per interrompere l'avanzata e raccolse gran parte della sua armata in Lomellina, con una linea avanzata sulla Sesia e sul Po.

Frattanto Napoleone III, partito da Parigi il 10 maggio, il 14 assunse il comando supremo delle forze alleate ad Alessandria. Poco dopo il suo arrivo, il 20 maggio, i reparti di fanteria francese e di cavalleria piemontese fermarono con successo un'azione degli austriaci sull'ala destra dello schieramento alleato, a Montebello.


 

 
E. Charpentier - Episodio della battaglia di Solferino - olio su tela - Musèe de l'Armèe - Parigi  

In quegli stessi giorni inoltre Garibaldi, che aveva avuto l'ordine di penetrare in alta Lombardia per provocarne l'insurrezione, passò il Ticino a Sesto Canale e occupò di sorpresa Varese. Sconfitto il generale Urban anche a San Fermo, entrò a Como la sera del 27 maggio.

Interessato a passare il Ticino per la strada Novara-Milano, Napoleone III spostò invece a Nord il grosso dell'armata francese e l'avviò verso Novara. Al tempo stesso, per coprire questa azione, i piemontesi passarono la Sesia a Vercelli e occuparono Palestro, scontrandosi con gli austriaci il 30 maggio e resistendo ad un loro contrattacco il giorno seguente.

Resosi conto che Napoleone III stava tentando una manovra avvolgente, il Gyulai decise quindi di ritirare il grosso delle sue forze sulla sinistra del Ticino.

Il 4 giugno a Magenta, i franco-piemontesi poterono comunque sconfiggere gli austriaci, costretti a sgombrare Milano e a ritirarsi verso il Quadrilatero.

L'8 giugno, mentre una brigata di retroguardia austriaca veniva messa in rotta dai francesi a Melegnano, Napoleone III e Vittorio Emanuele II fecero il loro trionfale ingresso a Milano; nel frattempo Garibaldi entrava a Bergamo.

Nei giorni successivi l'avanzata proseguì: i Cacciatori delle Alpi occuparono Brescia il 12 e, dopo aver avuto un duro scontro con gli austriaci a Treponti, il 18 entrarono a Salò. L'esercito sardo raggiunse il fiume Chiese il 16; la divisione del generale Cialdini avanzò quindi in Val Camonica per fronteggiare le forze austriache del Trentino, mentre ai Cacciatori delle Alpi fu affidato il compito di liberare la Valtellina.

 


 

  S. De Albertis - L'artiglieria della III divisione a S. Martino - 1887 - Olio su tela - Collezione Cariplo - Milano

La battaglia di Magenta aveva dunque permesso la liberazione di quasi tutta la Lombardia dal dominio austriaco, costringendo le forze austriache a ritirarsi dai Ducati e dallo Stato pontificio.

Sia in Emilia sia in Toscana si erano poi formati governi provvisori che offrirono espressamente la dittatura a Vittorio Emanuele e manifestarono il desiderio di fondersi con il Piemonte.

 


 

  E. Pagliano - La presa del cimitero di Solferino. Particolare - 1862 - olio su tela - Museo del Risorgimento - Milano

Nel frattempo, dopo l'esonero di Gyulai, il 16 giugno il comando supremo dell'esercito austriaco fu assunto dallo stesso Francesco Giuseppe.

Deciso in un primo momento a ritirare tutto l'esercito dietro il Mincio, il nuovo comando, appena informato del passaggio del Chiese e dell'avanzata dei franco-piemontesi, si risolse a ripassare il Mincio e a manovrare contro il nemico.

Il 24 giugno si svolse così la battaglia di Solferino e di San Martino.


 

 
H. Flandrin - Ritratto di Napoleone III - olio su tela - Museo Napoleonico - Roma  
 


 

  L'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe - fotografia - Museo di storia della fotografia Fratelli Alinari (collezione Favrod) - Firenze

Sconfitti ancora una volta – dai francesi a Solferino, e dai piemontesi a San Martino – gli austriaci concentrano il grosso delle loro forze sull'Adige, tra Verona e Legnago, pur conservando le piazzeforti di Peschiera e Mantova.

Soltanto dopo una settimana di inazione, il 30 giugno, i franco-piemontesi si risolsero a passare il Mincio: i piemontesi cominciarono così l'assedio di Peschiera, mentre i francesi si diressero verso Verona.

La flotta alleata, penetrata in Adriatico, si apprestava inoltre ad attaccare Venezia.

Improvvisamente, però, la sera del 5 luglio, Napoleone III inviò a Francesco Giuseppe una lettera in cui propose l'apertura di negoziati di pace.

Avendo il sovrano austriaco accettata la proposta, tre giorni dopo i capi di stato maggiore austriaco, francese e piemontese firmarono un armistizio valevole fino al 15 agosto.

Infine, l'11 luglio i due imperatori si incontrarono a Villafranca e si accordarono sui preliminari di pace in assenza dei piemontesi.

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