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La pace di Milano, firmata tra l'Austria e il Regno di Sardegna il 6 agosto 1849, e giunta al termine di trattative piuttosto complesse, precedette di pochi giorni l'apertura della terza legislatura piemontese. La nuova Camera, benché fosse meno spiccatamente democratica rispetto alla precedente – sciolta dopo Novara – era caratterizzata da una forte maggioranza progressista, composta da elementi che avevano tutti voluto la ripresa della guerra nel marzo 1849. Il contrasto con i moderati, che invece avevano accettato controvoglia la riapertura delle ostilità, rovesciando sui democratici la responsabilità della sconfitta, si riacutizzò così intorno alla questione della ratifica del trattato di pace. In base all'articolo 5 dello Statuto, che attribuiva al re il potere di firmare gli accordi internazionali, Vittorio Emanuele II procedette alla ratifica della pace di Milano nell'agosto 1849 senza attendere l'assenso delle Camere; secondo lo stesso Statuto, però, ogni patto che avesse imposto allo Stato un onere finanziario, in questo caso un'indennità di guerra di 75 milioni di franchi, aveva bisogno di essere approvato dal Parlamento. Il governo aveva quindi, per necessità, seguito una procedura eccezionale facendo precedere la ratifica al voto parlamentare. Benché l'opposizione fosse conscia dell'impossibilità di votare contro il trattato, che, voluto dal re, avrebbe necessariamente implicato, se respinto, la ripresa della guerra contro l'Austria, non fu disposta ad avallare la procedura seguita dal governo.
Quando, nel novembre 1849, al Parlamento si aprì quindi la discussione sul trattato, essa assunse un atteggiamento piuttosto rigido e volle collegare la questione della ratifica a quella della concessione della cittadinanza agli esuli del Lombardo-Veneto. Di fronte al rifiuto opposto dal ministero, che, pur mostrandosi disponibile a discutere in un secondo momento il problema degli esuli, non acconsentì ad affrontare quel tema in concomitanza con il trattato di pace, la Camera votò il 16 novembre di sospendere la discussione sul trattato stesso. Il giorno successivo il governo decise quindi di prorogare la sessione parlamentare, mentre, il 20 novembre, un decreto reale indisse nuove elezioni, fissandole al 9 dicembre. L'atto di scioglimento fu pubblicato insieme ad un proclama di Vittorio Emanuele II, emanato dal castello di Moncalieri e scritto da Massimo d'Azeglio, in cui il sovrano sosteneva che gli atti della Camera appena sciolta erano stati ostili alla Corona e invitava gli elettori a mandare al Parlamento degli elementi moderati, disposti, tra l'altro, a ratificare il trattato di Milano. Il risultato elettorale fu favorevole al governo: la nuova Camera, che si aprì il 20 dicembre, fu composta di circa 2/3 dei deputati disposti a sostenerlo, e presentò quindi una situazione capovolta rispetto alla precedente legislatura. Galleria immagini
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