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Di fronte agli avvenimenti milanesi del marzo 1848, un crescente fermento dilagò nel Regno di Sardegna, dove dimostrazioni popolari chiesero l'intervento piemontese in Lombardia e gruppi di giovani si misero in viaggio verso Milano. Mentre reparti di volontari partivano anche dalle principali città della Toscana, e occupavano la Lunigiana, la Garfagnana e Pontremoli, il 23 marzo il Consiglio dei ministri sardo, dopo alcune iniziali titubanze, optò alla presenza del re per la guerra contro l'Austria, annunciata poi con un proclama il giorno successivo.
Le truppe piemontesi agirono però lentamente, non ostacolando in alcun modo la ritirata di Radetzky verso il Quadrilatero: mossesi da Pavia il 31 marzo, ebbero una prima scaramuccia con l'esercito austriaco ad una ventina di chilometri da Mantova soltanto tra il 5 e il 6 aprile. Tra l'8 e l'11 aprile, poi – mentre a Milano giungevano volontari da Bologna, Modena e Napoli, e lo stesso Granducato di Toscana inviava ufficialmente soldati in Lombardia –, le truppe piemontesi si assicurarono i passaggi del fiume Mincio con alcuni brevi combattimenti a Goito, Monzambano e Valeggio. Varcato quindi il fiume in forze tra il 26 e il 28 aprile, si schierarono in posizione offensiva lungo un arco che dal Garda giungeva a Villafranca, e presero per alcuni giorni l'iniziativa, culminata il 30 aprile nella battaglia di Pastrengo, in cui ebbero successo sugli austriaci; appena 6 giorni dopo, però, subirono un grave scacco a S. Lucia e furono costretti a ripiegare. Frattanto, mentre Guglielmo Pepe alla guida di un corpo di spedizione napoletano partiva dall'Abruzzo per Venezia, le forze di soccorso imperiali, che avevano già costretto Udine alla capitolazione, occupavano tra il 5 e 6 maggio Belluno e Feltre. Fronteggiati in una prima fase solo da scarse truppe di volontari veneti, tra l'8 e il 9 maggio gli austriaci sconfissero il corpo pontificio comandato dal generale Giovanni Durando, il quale, partito da Roma alla fine di marzo, era stato incorporato nell'esercito piemontese dopo l'allocuzione papale del 29 aprile, con la quale Pio IX aveva dichiarato di non voler prendere parte al conflitto contro l'Austria.
Dopo un breve periodo di stasi, lo scontro riprese quindi a fine maggio: il 29, la divisione toscana comandata dal generale De Laugier, rafforzata da due battaglioni napoletani, fu sconfitta dagli austriaci a Curtatone e Montanara, in provincia di Mantova, dopo un'eroica resistenza; il giorno successivo, i piemontesi ebbero tuttavia la meglio sugli austriaci presso Goito, e, in seguito alla resa di Peschiera avvenuta quella stessa sera, poterono il 31 maggio occupare anche quella fortezza. Nonostante i successi piemontesi, gli austriaci furono però in grado in breve tempo di occupare gran parte del Veneto: caduta Vicenza il 10 giugno, presso la quale si registrò una delle battaglie più sanguinose della guerra, l'esercito imperiale occupò nel giro di pochi giorni Padova, Treviso, Mestre e Palmanova, lasciando in mano agli italiani solo Osoppo, che resistette fino al 13 ottobre, e Venezia con le isole della Laguna. Dopo più di un mese di inattività, durante il quale Radetzky poté riorganizzare il suo esercito, alla fine di luglio si svolse lo scontro decisivo: respinti il 22 luglio sull'altopiano di Rivoli, gli austriaci attaccarono la linea piemontese tra Sona e Sommacampagna, riuscendo a travolgerla, passando il 24 luglio il Mincio con una parte delle forze. L'esercito sardo pensò quindi di muovere un attacco da Villafranca verso il nord-ovest, contro la linea di colline che va da Custoza a Sommacampagna, ma a causa della scarsità di uomini, registrò il 24 luglio solo un parziale successo presso Staffàlo. Il 25 Radetzky organizzò quindi il contrattacco e inferse una pesante sconfitta presso Custoza ai piemontesi, che ripiegarono su Goito.
Da quel momento la ritirata dell'esercito sardo si fece sempre più rapida: passato l'Oglio il 28, il 1° agosto i piemontesi si ritirarono oltre l'Adda, dirigendosi verso Milano, dove giunsero il 3 agosto. Gli austriaci attaccarono quindi la città il 4 e, nonostante l'energica resistenza piemontese, riuscirono a rompere la prima linea di difesa sarda quella sera stessa, imponendo agli avversari di ripiegare entro i Bastioni. Convinto dell'impossibilità di ogni resistenza, Carlo Alberto firmò quindi la capitolazione il 5 agosto. Di fronte ad una popolazione sgomenta, gli austriaci rientrarono così a Milano il giorno seguente. Il 9 agosto venne quindi firmato l'armistizio di Salasco, che fissava alla frontiera tra Piemonte e Lombardia la linea di demarcazione dei due eserciti.
Anche il tentativo di Garibaldi di proseguire la guerra, che portò il nizzardo a occupare Varese il 18 agosto, si infranse contro la forza degli attacchi austriaci: sciolta la sua banda, egli si convinse a fine agosto a rifugiarsi nel Canton Ticino. Dopo molti mesi di inattività, il 12 marzo 1849 Carlo Alberto, che riteneva preferibile una sconfitta militare alla rinuncia alla lotta contro l'Austria, scelse di riprendere la guerra e, come previsto dall'armistizio del 9 agosto, preavvertì il comando supremo austriaco delle sue intenzioni. Il 20 le avanguardie della V divisione piemontese furono quindi attaccate dagli austriaci alla Cava, e costrette a ripiegare alla destra del Po; già dalla tarda serata del 20 quattro corpi d'armata austriaci dilagavano nella Lomellina. Il 21 si svolsero quindi accaniti combattimenti a Borgo San Siro e alla Sforzesca, davanti a Vigevano, e a Mortara. Benché i primi risultassero favorevoli ai piemontesi, i secondi si conclusero con un grave scacco e indussero l'esercito sardo a tentare una ritirata in direzione di Novara. Qui, gli austriaci attaccarono nuovamente il 23 marzo, e, nonostante alcuni contrattacchi abbastanza efficaci, riuscirono ad avere la meglio sui loro avversari e ad entrare in città il 24.
La sera del 23 marzo, consapevole della pesante sconfitta, Carlo Alberto decise di abdicare in favore del primogenito Vittorio Emanuele, e di riparare in Portogallo. Il giorno seguente Radetzky incontrò presso Vignale il nuovo re, che si persuase ad accettare le condizioni dell'armistizio, poi firmato a Novara il 26 marzo. Esso prevedeva tra l'altro l'occupazione militare austriaca di metà della fortezza di Alessandria, del territorio tra il Po, la Sesia e il Ticino e il ritiro entro quindici giorni della flotta sarda dall'Adriatico. Strascichi della guerra furono inoltre i fatti di Brescia e Genova. La città lombarda riuscì a resistere agli austriaci per dieci giorni, a partire dal 23 marzo (le Dieci giornate), ma fu occupata definitivamente il 1° aprile. Quello stesso giorno Genova si costituì invece in Repubblica per manifestare la propria contrarietà di fronte alla cessazione delle ostilità ma, messa a dura prova dall'avanzata del generale piemontese Alfonso La Marmora, capitolò il 9 aprile.
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