» Bertini Francesca (Elena Vitiello)  
1892-1985
 


 

 
Francesca Bertini nel film 'La Piovra' - 1921 - © Archivi Alinari, Firenze  

Diva, fino all’ultimo. Benché ormai anziana e senza mezzi, Francesca Bertini ha sempre tenuto fede al soprannome espressamente inaugurato per lei nel lontano 1915. Ormai novantenne riceveva i suoi ospiti nella hall del Grand Hotel, e teneva rigorosamente segreto il suo indirizzo, un modesto appartamentino nella parte meno elegante del quartiere Parioli, a Roma, gentilmente offertole da un’amica. «Il tè del Grand Hotel» – ha scritto con affetto Gianluigi Rondi – «era, per lei, il suo stare in palcoscenico, la recita continua del suo ruolo di Divina».

Diva lo è stata davvero: massima star del cinema muto fra il 1912 e il 1921, Elena Vitiello, in arte Francesca Bertini, non conquista soltanto le platee italiane: in Russia è “Franzeska” senza neppure il cognome, in Spagna è l’encantadora, tutta l’area latino americana è ammaliata da sus gestos fascinantes. Da noi, durante la guerra, basta lo striscione “Stasera Bertini”, senza neppure il titolo del film, perché i cinema siano zeppi. Il produttore della Caesar, Giuseppe Barattolo, l’uomo che conia per lei la definizione di “Diva”, se la aggiudica grazie a un contratto stratosferico, di due milioni l’anno. Cinque, sei film a stagione, molti dei quali diretti da Roberto Roberti, il padre di Sergio Leone. Ma è lei, la Bertini, l’attrice che i critici chiamano “creatura sovrana”, a dire l’ultima parola sulla sceneggiatura, le luci e i costumi.

L’avventura umana e artistica di Elena Vitiello inizia a Napoli, dove appena quindicenne già veste i panni di una delle lavoranti della stireria di Assunta Spina, cavallo di battaglia dell’attrice partenopea Adelina Maglietti. Elena è figlia di una generica di nome Adelaide Fratiglioni. Il cognome Vitiello le viene da un trovarobe napoletano che la madre sposa dopo la sua nascita, avvenuta a Firenze il 6 febbraio del 1892. Ad appena diciott’anni, eccola a Roma, con un contratto come “giovane amorosa” presso la Manifattura Cinematografica “Film d’arte italiana”. È là, nello sta bilimento di via Torlonia 7 che le cambiano il nome. È là che, nel 1910, nasce Francesca Bertini. Dopo qualche piccola apparizione in Salomé, nel Trovatore e in altri cortometraggi, la Bertini viene segnalata da Charles Pathé, patron della Film d’arte, che è una succursale della francese Pathé, al direttore artistico Ugo Falena, perché diventi la protagonista dei prossimi film storici della casa. Brevi, accurati nella realizzazione, colorati con le tenui tinte che contraddistinguono le produzioni della Pathé, i film interpretati dalla Bertini si intitolano Francesca da Rimini, Beatrice d’Este, Cesare Borgia. Ma è nel 1914, con la casa di produzione Celio, che la Bertini diventa diva assoluta, grazie a due film: Histoire d’un Pierrot e Sangue blu.

Pur amministrando la sua figura di “divina” con grande attenzione, la Bertini ha voglia d’una prova d’attrice. E così accetta di girare Assunta Spina a Napoli, dal vero. Indicato ancor oggi come il primo significativo risultato raggiunto dal cinema italiano sulla strada del verismo, Assunta Spina è il punto più alto della sua carriera. Che annovera, poi, film come La signora delle Camelie, Odette, Tosca, La Contessa Sara. Nel ‘21, quando il cinema italiano non riesce a rinnovarsi, la Bertini – la donna irraggiungibile che disse di no a Guglielmo Marconi – sposa il conte Cartier annunziando di aver rinunciato, per amore, a un contratto di un milione di dollari offertole da Hollywood. Da quel momento le sue apparizioni si fanno saltuarie: la più rimarchevole è quella in Novecento, di Bernardo Bertolucci, nel ‘75. Se l’attrice s’era ritirata, la diva non s’arrese mai: a novantanni partecipò al festival di San Sebastian in pelliccia bianca, abito lungo e molti gioielli. Che fossero veri o finti, non contava nulla.

Patrizia Carrano