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Il progetto ha previsto la digitalizzazione del Dizionario Bibliografico delle Italiane con l'aggiunta delle immagini di quasi tutte le donne biografate. Al progetto originaleè stata aggiunta una biografia (Amarelli) arrivando cosi a 260 schede. Ma l’elenco non è chiuso, potranno dunque essere aggiunte altre biografie nel corso del tempo.

Sono stati creati 18 percorsi tematici inoltre, che raggruppano le biografie delle donne a seconda di un tratto significativo della loro vita e che possono anche essere incrociati fra di loro. Essi costituiscono uno strumento  didattico di approfondimento per i docenti e gli alunni che vogliano fare ricerche sul ruolo delle donne, o vogliano confrontare le biografie.

Non esistono per ora in Italia altre opere altrettanto complete, sia dal punto di vista biografico che da quello iconografico.

Il Dizionario Bibliografico delle Italiane è stato pubblicato la prima volta nel 2003 e la seconda -  dopo un ampio lavoro di revisione e aggiornamento - nel 2011. Di seguito le Introduzioni ad entrambe le edizioni, a sottolineare la continuità tra il progetto digitale e quello cartaceo.

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Introduzione alla II edizione

Quale occasione più adatta del 150° anniversario dell'Unificazione italiana per offrire una nuova edizione – questa volta anche informatica - di un'opera in tre volumi, Italiane, uscita per l'8 marzo del 2004 e ormai introvabile?
Il progetto originario, nato nel 2003 per iniziativa dell'allora ministro delle Pari Opportunità e dalla collaborazione tra Eugenia Roccella e chi scrive – suffragate da un comitato scientifico di studiose – voleva riempire un vuoto nella cultura ufficiale del nostro paese: da un lato l'assenza di una storia d'Italia aperta alla presenza femminile, che sapevamo essere stata invece rilevante per numero ed importanza; dall'altro l'assenza di un repertorio biografico delle donne che hanno avuto ruolo di protagoniste nelle vicende italiane.
Quella che il lettore ha tra le mani è infatti una storia d'Italia ripercorsa attraverso le biografie di 247 donne – nella nuova edizione sono diventate 259 – che, a partire dal Risorgimento per arrivare ai giorni nostri, hanno svolto una parte importante, talvolta decisiva o comunque significativa, nella costruzione del nostro Paese. Perché nella storia d'Italia le donne sono state importanti, da ogni punto di vista: non solo nei settori a loro concessi tradizionalmente, come l'assistenza, l'arte, la scrittura, ma anche nella politica, nell'imprenditoria, nella scienza e nello sport. Spesso tuttora questo apporto non viene ricordato, o viene sminuito, con effetti negativi ancora percepibili nella mancanza di autoconsapevolezza delle italiane di oggi.
Ricordare – ad esempio – il ruolo politico di molte donne a cominciare dalle lotte risorgimentali, per arrivare al fascismo e all'antifascismo, alla Resistenza e al femminismo, e poi alla vita parlamentare della prima repubblica, a partire dalle costituenti, costituisce certo lo stimolo migliore per accrescere la presenza di donne competenti e preparate nella vita politica attuale, di cui si sente la necessità. La stessa cosa vale per l'industria, la cultura, il giornalismo, la ricerca scientifica: il riconoscimento delle pioniere in questi campi è un invito a proseguirne l'impegno oggi che, oggettivamente, le condizioni per la partecipazione delle donne al lavoro sono molto meno controverse, addirittura qualche volta favorite.
Proprio per questo motivo la nuova edizione – corretta e aggiornata rispetto a quella chiusa del 2003 dalla storica Giulia Galeotti – è stata ampliata da 12 biografie: otto di donne che parteciparono alla Costituente, e che dunque completano il gruppo delle donne che hanno collaborato alla stesura della nostra Costituzione; due di donne patriote vissute durante il Risorgimento e i primi decenni dell'Italia unita, Giuditta Sidoli e Elena Casati Sacchi, e una delle pioniere della psicanalisi in Italia, Luciana Nissim, che è stata anche la prima testimone della Shoah  a cui si aggiunge una imprenditrice calabrese, Giuseppina Amarelli. Con questa aggiunta, la presenza  delle donne viene dunque rafforzata e completata.
Le nuove biografie mantengono le caratteristiche dell'opera originaria: sono ritratti, scritti con uno stile narrativo che ne rende agevole e piacevole la lettura, ma salvaguarda il criterio della correttezza storica.
Quest'opera infatti è stata pensata come un punto di riferimento di natura enciclopedica – che ancora manca – e al tempo stesso come un supporto didattico, ma anche come occasione di lettura piacevole e interessante per chiunque voglia informarsi senza scontrarsi con un linguaggio troppo scientifico e formale.
Per finire un ringraziamento doveroso vorrei manifestarlo al Quirinale e alle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che hanno deciso di ridare vita a quest'opera.

Lucetta Scaraffia
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Introduzione alla I edizione

Presentiamo qui una folla di donne, per la prima volta tutte insieme. Sono, per la precisione, 247, ma avrebbero potuto facilmente essere molte di più, e la scelta dei criteri di selezione, condizionata dalla necessità di non dilatare oltre misura l'opera, ha comportato tagli ed esclusioni difficili, rinunce che abbiamo accettato sempre con rammarico. Perché questa abbondanza di presenze femminili testimonia il cammino delle donne italiane a partire dal Risorgimento, racconta una emancipazione che non ha portato solo all'affermazione personale di molte, ma a una maggiore libertà per tutte, contribuendo in importante misura alla costruzione della nuova nazione italiana. Non si tratta infatti solamente di una aggiunta – assolutamente doverosa – ai libri di storia, in cui rara mente compaiono nomi femminili: questo insieme di vicende biografiche, tutte per qualche aspetto eccezionali, costituisce una storia in sé, ricostruita dal punto di vista delle più innovative protagoniste del percorso verso la modernità. La comparsa massiccia delle donne sulla scena pubblica, infatti – e non solo in situazioni e zone “di confine”, in cui già il loro ruolo era tradizionalmente accettato, come il salotto o il palcoscenico – costituisce la grande novità della società italiana a partire dalla seconda metà dell'800. La loro storia è anche la storia della modernizzazione del nostro paese, processo di cui le donne sono state soggetto ed oggetto al tempo stesso. Le donne infatti, che avanzano ricche di tutte le loro potenzialità e cariche dell'entusiasmo dei neofiti, diventano rapidamente protagoniste del cambia mento in tutti i campi sociali e professionali, ma, proprio per questo, sono costrette, nella vita privata, ad abbandonare i ruoli tradizionali e ad inventare nuovi modelli di esistenza.
Queste biografie, messe in fila, narrano la complicata e tumultuosa crescita di un paese che cambia, diventando democratico, industriale, partecipe del fervore culturale e artistico del moderno Occidente; ma soprattutto, con immediatezza, commovente trasparenza, dolorosa necessità, parlano delle battaglie private e pubbliche, degli esperimenti personali, delle urgenze contraddittorie e irrinunciabili che stanno dietro alla più grande e duratura rivoluzione dell'età contemporanea, quella che ha segnato la fine della separazione dei ruoli sessuali.
Proprio per dare voce alle donne, quasi fosse (e lo è, dal punto di vista storiografico) una Spoon River delle italiane, un ritorno alla vita e alla memoria, è stata scelta questa forma di narrazione: le biografie costituiscono infatti fonti insostituibili di quel complicato meccanismo sociopsicologico, sotteso a ogni costruzione di identità, definito in primo luogo dall'appartenenza sessuale. Ogni percorso biografico si può leggere come costruzione originale di un modo specifico di “essere donna”, frutto insieme del contesto storico e della ricerca individuale. Nei momenti di forte cambiamento sociale, come quelli che segnano l'età contemporanea, le biografie costituiscono un metro fondamentale per scoprire la nascita di nuovi valori e nuovi giudizi sulla realtà. Le donne che presentiamo non solo sono importanti per se stesse, ma anche per ché sono state le madri ideali scelte dalle nuove generazioni, sono cioè servite da modello, magari inconsapevolmente, per le giovani vissute nei periodi successivi, ansiose di trovare nuovi esempi su cui orientarsi nella difficile fase di trasformazione identitaria che stavano vivendo.
Forse, però, nel nostro caso, parlare di biografie è riduttivo. Si tratta in realtà di ritratti, nell'accezione in cui ne parla D'Annunzio: “perciò tra lo storico e il biografo è il grande divario, come tra il frescante e il ritrattista, il primo non considerando gli uomini se non nel più vasto movimento dei fatti complessi e nelle più efficaci attinenze con la vita pubblica, il secondo non rappresentandoli se non nei più salienti rilievi della sua persona singolare”. Ritratti che compongono una storia d'Italia non tracciata secondo gli avvenimenti che si susseguono ordinatamente, nel passivo rispetto di canoni e significati ormai consolidati, ma permettono di gettare uno sguardo indiscreto e rivelatore dietro le quinte, scoprendo un fitto, indaffarato e fecondo agitarsi femminile. Quante volte ci siamo sentite dire, con un pizzico di facile condiscendenza: “Perché non c'è stata una donna come Leonardo da Vinci, o come Galileo, o come Cavour?”. Le risposte non sono univoche, ma si sommano l'una all'altra, rivelando una censura, un divieto e una dimenticanza. È ovvio che è esistito, anche oltre l'irruzione della modernità, un muro, legislativo e culturale, che ha confinato le donne nell'ambito della casa e del privato, e che sgretolarne i mattoni, forzarne qui e là gli accessi, ha richiesto anni e anni di sforzi e di accanite lotte femminili. E anche evidente come sul contributo dato dalle donne alla formazione della nazione e alla sua crescita culturale, politica e sociale, sia calata una (quanto consapevole non è dato saperlo) cortina di silenzio e di indifferenza. Ma non è solo questo, naturalmente, il punto: la differenza di genere ha agito in modo più sottile, creando canali preferenziali, attività e orienta menti non direttamente modellati sul ruolo pubblico maschile.
Le donne, insomma, entrando nella scena pubblica, hanno spesso preferito soluzioni sfumate, territori meno battuti e proprio per questo più innovativi; in queste zone semibuie, assai più che sul proscenio illuminato, troviamo la loro presenza attiva e il segno di una straordinaria e fantasiosa creatività. Se la storiografia ufficiale anche recente ha trascurato o cancellato la presenza femminile, è accaduto soprattutto per incapacità o pigrizia interpretativa, perché gli schemi consueti mal si adattano a dare pienamente conto di come le italiane hanno fatto l'Italia.
Lo strumento scelto, il ritratto, nasce sempre da una parzialità, da un incontro vis à vis, da un riconoscimento e da un'interpretazione. Se pure condensato in poche pagine, restituisce colore e sapore alla personalità individuale, fissando i tratti esistenziali, professionali, caratteriali, e persino somatici delle donne che abbiamo riunito. Le biografie sono state appuntamenti a due tra autori e protagoniste: in genere prese d'atto di incontri ormai consumati tra studiosi e oscure signore ripescate dal silenzio, poiché il primo criterio per la scelta dei biografi è stato naturalmente quello della competenza.
Il primo, ma non l'unico: altri, meno scontati, sono stati talvolta i motivi degli accostamenti: ragioni di affinità, eredità ideale, vicinanza ideologica, oppure invece di forte distanza critica; di similitudine, o al contrario di stimolante diversità. In tutti i casi, si tratta di testi di forte impronta autoriale, ritratti in cui la soggettività del punto di vista è dichiarata. Non riteniamo, con questa scelta, di aver mancato a doveri di obiettività nei confronti delle biografate, ma di aver arricchito, con una prospettiva più attuale e personale, il racconto delle loro vite. Piuttosto che un elenco asettico di date, eventi, opere, si è mirato ad ottenere un ritratto firmato, con un taglio critico esplicito, aperto all'interpretazione dei lettori.
La biografia, trattandosi di storia delle donne, è stata quasi una scelta obbligata: solo così si poteva far rientrare dalla finestra del privato quello che era stato cacciato dalla porta del pubblico, solo così si poteva integrare quella testimonianza maschile reticente passata attraverso la memoria ufficiale, la storiografia dei manuali e delle grandi narrazioni. L'apparente disomogeneità delle storie individuali e dei punti di vista moltiplica le possibili letture: presa separatamente, ogni tessera del mosaico esibisce il suo dettaglio, ma una volta affiancati, i vari pezzi rendono intelligibile l'immagine nella sua interezza.
Il nostro elenco comprende artiste e donne qualunque, imprenditrici e madri, filantrope e leader politiche, in una storia piena di colore di passioni. Nonostante la volontà di offrire un insieme il più possibile equilibrato, sotto ogni profilo (sul piano geografico, politico, cronologico e su quello dei saperi, delle professioni, delle attività) il dizionario inevitabilmente riproduce gli squilibri e le differenze esistenti nel paese. Le regioni dell'Italia settentrionale esibiscono anche in questo campo la propria superiorità, benché dagli sforzi indirizzati alla valorizzazione delle donne presenti sulla scena pubblica meridionale emergano figure importanti, magari meno note: da Giuseppa Calcagno, patriota siciliana, detta “Peppa la cannoniera”, a una scrittrice quasi dimenticata come Livia De Stefani, dalle sorelle Whitaker alla violinista Gioconda De Vito o alla regista Elvira Notari. Spesso, alle origini regionali comuni, corrispondono affinità nell'impegno e nella scelta della professione, come accade per le milanesi filantrope, impegna te al tempo stesso per l'unità d'Italia e per la creazione di istituzioni assistenziali ed educative destinate ai ceti disagiati (uno sforzo che al Sud trova un corrispettivo nella napoletana Filangieri), oppure per le piemontesi e le lombarde che scelgono l'impresa, e diventano protagoniste del decollo industriale italiano. Assai presenti, nella vita mondana e culturale delle città settentrionali, le aristocratiche, capaci di creare con i loro salotti reti politiche e sociali, spesso influenzate dalle mode culturali, come le teosofe e antroposofe. Le scrittrici e le artiste sembrano invece distribuite più uniformemente in tutta la penisola, a dimostrazione della più facile accettazione di una vocazione dotata di una particolare forza di attrazione per le donne, anche perché si può – almeno in apparenza – conciliare più facilmente con il destino dome stico. Le donne hanno contribuito alle battaglie per l'unità d'Italia, spronando e finanziando i combattenti, scrivendo sui giornali, formando i giovani, come madri e come insegnanti, all'amore per la patria. Hanno dato contributi importanti all'educazione (fondatrici di congregazioni come Frassinetti, Cabrini, Mazzarello, Postorino, educatrici laiche come Pignatelli o Montessori) fondando e dirigendo istituti non solo femminili, elaborando nuove teorie pedagogiche, scrivendo libri per ragazzi e per adulti. Con la loro dedizione e le loro capacità organizzative, hanno colmato per un lungo periodo le lacune dello Stato italiano nel campo educativo e assistenziale, rendendo meno duro – per i ceti disagiati – il passaggio alla modernità.
Una delle forme in cui più spesso si è esercitata una presenza femminile nella società è stata quella artistica: attrici, cantanti, interpreti preziose e iniziatrici di nuovi generi, donne di spettacolo che tal volta anche esercitano un'influenza sul piano intellettuale (Pasta, Duse, Proclemer). E poi, pittrici e scrittrici. Protagoniste, le prime, dei movimenti d'avanguardia e della sperimentazione estetica del Novecento, anche se talvolta entrano nell'ambiente un po' bohémien dei circoli artistici come modelle o compagne di pittori, rivelando solo in un secondo tempo il proprio talento. Bisogna però aspettare l'ultimo dopoguerra perché le pittrici acquistino un profilo professionale riconosciuto e deciso; negli anni precedenti, infatti, la loro presenza è spesso labile, fugace, precaria, anche laddove la vocazione è chiara e la bravura indiscussa.
Diverso il caso delle scrittrici. Forse perché esiste fin dagli inizi un pubblico femminile a cui rivolgersi, la narrativa è invasa dalle donne. Sono “l'infinito pulviscolo di romanzatrici, le instancabili romanzatrici” di cui parla Benedetto Croce. All'interno di una tradizione letteraria come quella italiana, poco incline al romanzo, le donne sono una vistosa eccezione. Scrivono, con commovente dedizione, anche quando sono chiuse in una esistenza domestica tradizionale, anche se non hanno la “stanza tutta per sé” considerata essenziale da Virginia Woolf. Perché scrivere permette di inventarsi uno spazio privato del cuore, e insieme di poterlo aprire all'esterno. È uno spazio ambiguo, spesso separato (donne che scrivono per le donne, come le scrittrici rosa) spessissimo a vocazione diaristica e intimista. Ma le donne sanno anche inserirsi sul mercato, scrivere best seller, produrre pagine fitte di losche trame (Invernizio), così come sanno diventare, come la Bellonci, un riferimento quasi istituzionale del mondo letterario italiano. E se a Grazia Deledda è toccato il Nobel, altre, come la Ortese, hanno dovuto aspettare una vita per vedere pienamente riconosciuto il proprio genio, mentre tante, come la de Cèspedes, si sono viste per anni confinate nel limbo, criticamente sottovalutato, della letteratura “per donne”.
È importante sottolineare il ruolo avuto, accanto alle scrittrici, dalle giornaliste, che non solo hanno captato e registrato ogni forma di cambiamento, ma spesso ne sono state all'origine, combattendo battaglie d'opinione, svelando situazioni dolorose, facendosi portavoce di un disagio femminile ancora coperto dal silenzio. La professione, sotto l'urgenza di appropriarsi della parola pubblica e dei suoi strumenti di diffusione e di denuncia, si è andata via via affollando di donne, fino a rappresentare forse l'indicatore più attendibile dei progressi dell'emancipazione. Anche le inviate di guerra si sono moltiplicate, nell'ansia di calpestare l'ultima “zona vietata”: quella del peri colo. Se Jessie White Mario ai suoi tempi era un caso isolato, Oriana Fallaci ha fatto scuola, e anche le donne, in questo mestiere, hanno ormai pagato il loro tributo di vite spezzate.
Quella di una strabordante creatività è senza dubbio la cifra che accomuna il maggior numero di donne qui raccolte: si direbbe quasi che l'inedita possibilità di uscire dalla sfera casalinga tradizionale abbia dato sfogo a energie a lungo compresse, creando vicende bio grafiche particolarmente ricche di iniziative ed esperienze. Quasi mai, infatti, le donne che abbiamo raccontato hanno realizzato se stesse in un solo campo, e spesso neppure solo nella professione e nella fami glia: se sono state imprenditrici, hanno magari fondato più industrie, e di tipo diverso, come Luisa Spagnoli; se attrici, hanno affiancato la loro carriera teatrale con iniziative di altro tipo, come ha fatto la Pezzana, scrivendo, o Lina Cavalieri, con la creazione di una fortunata serie di istituti di bellezza. Matilde Serao scrive romanzi, ma fonda e dirige riviste e giornali; Jone Colnaghi non solo intuisce al volo le possibilità industriali delle fibre sintetiche, ma inventa un famoso Carosello in cui infila, come protagoniste, le sue gemelle; Barbara per tutta la vita affiancherà all'amore per il volo, quello per l'arte. Anche la grande passione per un poeta come d'Annunzio non basta ad Alessandra di Rudinì, già moglie e madre, a dare un senso alla sua vita: vi aggiungerà una seconda definitiva passione, quella per la vita religiosa nel Carmelo. Una donna che sembra concentrata fin da giovanissima nella carriera politica come Luciana Viviani si rivela, in età più matura, un'interessante scrittrice; le artiste spesso sperimentano più generi insieme, in una confusione che nasce da un eccesso creativo. Sempre portando la bellezza, sia loro che delle loro produzioni e interpretazioni, a un numero crescente di persone.
Naturalmente, ci sono anche vite racchiuse in un'unica passione: Pia Nalli per la matematica, Gemma Galgani per Dio, la Altobelli per le sue lavoratrici agricole; per molte, la filantropia è stata una vera e propria passione, sia se vissuta all'interno della tradizione cattolica, che nella nuova società secolarizzata (Alessandrina Ravizza, Ersilia Majno). Alcune chiudono in un unico evento signi¬ficativo il senso della propria esistenza: la Capponi, per l'attentato di via Rosella, la Petacci, nella tragica morte accanto a Mussolini. O la passione politica per il socialismo reale, mortificata dal duro impatto con una realtà così diversa dai loro sogni, di Camilla Ravera e Felicita Ferrero. Quasi tutte sono donne contente di sé, di ciò che hanno saputo fare, confortate in questo dall'approvazione sociale e dall'aura di eccezionalità che spesso ha circondato il loro operato. Ma ci sono anche esempi di autocritica feroce, come Giancarla Mursia, che, pur consapevole di avere raggiunto importanti risultati nel campo dell'editoria, e soddisfatta perfino del suo matrimonio, annuncia senza mezzi termini il suo fallimento materno, memento a quante cercano di conciliare lavoro e maternità subordinando quest'ultima al successo professionale. Certo, la Mursia appartiene ad una generazione di pioniere dell'affermazione professionale, che si sono dovute inventare un modello di donna nuovo mentre cercavano di far coesistere dimensioni diverse di sé. Il tema della maternità costituisce senza dubbio il cuore della contraddizione per le prime generazioni che hanno sperimentato il percorso di emancipazione: non è un caso che, tra queste, tante siano rimaste nubili o senza figli, e che comunque abbiano avuto con la maternità un rapporto fortemente problematico: Montessori, Aleramo, Beccari, Labriola, Franchi, e altre ancora.
Le donne hanno anche contribuito ad educare, a raffinare la società italiana in aspetti fondamentali, come le tradizioni di cucina - raccolte e diffuse da Ada Boni sotto forma di talismano della felicità familiare – o le regole del galateo che varie autrici hanno rapidamente e dinamicamente saputo adattare ai cambiamenti sociali in atto. Una educazione avvenuta anche attraverso l'arma potente dell'ironia, adoperata con graffiante leggerezza da scrittrici, disegnatrici, attrici brillanti e divertenti, per esempio nelle pagine di Irene Brin o della prima Cederna, nei disegni di Brunetta o nei personaggi di Franca Valeri. E alle nuove signore, ansiose di ben apparire, un aiuto fondamentale è stato dato dalle sarte, dalle stiliste come le Sorelle Fontana, Biki, Mila Schön, che hanno insegnato loro la classe e l'eleganza e hanno aiutato le donne a vivere con maggiore disinvoltura e sicurezza la loro “uscita di casa”.
Non è, naturalmente, una storia priva di contraddizioni: le donne non solo hanno militato in aree politiche diverse e contrapposte – ci sono dirigenti delle organizzazioni fasciste e partigiane, mili tanti della Democrazia Cristiana e del Pci – ma hanno anche lottato, o testimoniato, per obiettivi inconciliabili; Adele Faccio è andata in galera per far approvare la legge 194 che legalizza l'aborto, mentre Gianna Beretta Molla ha scelto di perdere la vita per non abortire. La presenza femminile nella storia italiana è dunque complessa e composita, e non si può tradurre semplicemente in una vicenda lineare fatta di parità di diritti, ampliamento delle libertà e partecipazione alla vita pubblica. La tensione ad una libera espressione di sé nella società costituisce certamente il filo conduttore di queste biografie, ma il passo delle donne non è stato solo un passo di marcia, né il cammino ha avuto un'unica direzione; è stato piuttosto un movimento ondivago, con pause, deviazioni, percorsi ellittici, sviluppi che hanno comportato perdite e guadagni: ci sono state appartenenze, eredità culturali e sentimentali che si sono perse per strada, e ci sono stati obiettivi raggiunti con l'euforia di chi taglia un traguardo a lungo sognato.
Proprio per questo, non abbiamo preso in considerazione solo donne di successo: un caso esemplare di rinuncia ad una possibile brillante carriera è quello di Rosetta Flaiano, fisica promettente che per una vocazione materna drammatizzata dall'handicap della figlia ha rinunciato a tutto per vivere il suo ruolo di madre-infermiera fino alla fine. E forse, come ha scritto la sua biografa Giulia Massari, si è realizzata così più di tante altre. Curiosamente, se vogliamo segnalare un esempio di soluzione perfetta del conflitto fra lavoro e famiglia, dobbiamo guardare a Moira Orfei, che è riuscita felicemente a conciliare i diversi ruoli, probabilmente grazie alla particolare separatezza del mondo circense, una comunità in cui la forza della tradizione prevale sulle regole della modernità. Ci sono anche mogli che, pur accettando un ruolo apparentemente defilato all'ombra del loro compagno, si sono sapute ritagliare spazi originali e creativi, come Ginestra Amaldi, grande divulgatrice scientifica, o Anna Banti, che aveva cominciato come critica d'arte, ma per non invadere il campo del marito Roberto Longhi (e per non sentirsene invasa), trasferì i suoi interessi sulla letteratura; è sempre accaduto, del resto, con le animatrici di salotti, come Laura Acton Minghetti o Mimì Pecci Blunt e Marguerite Caetani, che hanno usato le possibilità offerte dalla vita coniugale per aprire spazi all'arte, alla politica, alla cultura o semplicemente alla conversazione mondana e intellettuale.
Nonostante le protagoniste inserite nel nostro elenco abbiano tutte come caratteristica una soglia d'età avanzata, in due casi abbiamo fatto una doverosa eccezione: si tratta di donne che si sono trovate, entrambe per caso, a rappresentare, con l'enorme forza simbolica del rifiuto, una rottura traumatica del costume italiano. Franca Viola, che disse no al matrimonio “riparatore”, e Gigliola Pierobon, che trasformò il suo processo in un evento politico, sono lì a segnalare come le fasi più conflittuali del passaggio alla modernità siano quasi sempre legate alla trasgressione femminile. In maniera meno esplicita, certa mente meno consapevole, Giulia Occhini, compagna di Fausto Coppi, fu un altro caso emblematico (soprattutto per la diffusione mediatica che ebbe allora la sua storia) di violenza alle regole, in particolare a quelle non dette di un perbenismo molto italiano. Ma la trasgressione può essere di segno opposto: anche Maria Goretti porta con sé un elemento di scandalo, portando all'estremo il rifiuto di accettare un sopruso abituale nella sua condizione di miseria, affermando il suo diritto al rispetto come essere umano, come figlia di Dio.
Volendo dare conto di tutti gli aspetti della partecipazione femminile alla storia italiana, abbiamo considerato non solo il ruolo pubblico, i traguardi e i profili professionali, le conquiste sul piano della parità (e qui si apre il capitolo delle sportive, che, da Ondina Valla ad Alfonsina Strada, rappresentano una sfida al mito della superiorità fisica maschile) ma anche l'eterna funzione di madre e moglie. Adelaide Cairoli, madre simbolica dei patrioti italiani, Rachele Mussolini, moglie appartata che costituisce il modello della popolana italiana capace di affrontare con coraggio e dignità la buona e la cattiva sorte, sono esempi di quella presenza di confine, tra privato e pubblico, a cui abbiamo già accennato. Anche Sara Nathan non ha scelto un ruolo pubblico per sé, ma, rimanendo nell'ambito della tradizionale cultura femminile dell'accoglienza e della cura, ha sostenuto e assistito Mazzini, lavorando intensamente per alimentarne il culto e salvare dalla distruzione i testi da lui scritti. Poche, tra le donne che cominciavano a uscire di casa per avere un lavoro retribuito, sono state capitane d'industria, scrittrici famose, artiste affermate; la stragrande maggioranza si è dedicata a due mestieri fin troppo tipici, la maestra e la segretaria. Ci è sembrato dunque importante raccontare due vicende biografiche che rappresentasse ro in positivo e in negativo la fatica quotidiana delle tante che hanno svolto questo lavoro. Da una parte c'è la storia tragica di Italia Donati, maestrina tormentata dal clima di sospetto che circondava le giovani donne che si allontanavano dalla famiglia per guadagnarsi la vita; dall'altra, la storia felice di Maria Rubiolo, torinese devota all'azienda, che da semplice segretaria diventa addetta alle pubbliche relazioni, figura chiave nella Fiat di Valletta.
Come per ogni elenco, i criteri adottati per le inclusioni e le esclusioni sono discutibili: l'importante è dichiararli. Le biografie partono dall'idea di una vita conclusa, oggetto possibile di bilanci e valutazioni complessive. Per questo abbiamo posto un limite anagrafico (una data di nascita anteriore al 1933) che ha comportato alcune dolorose rinunce. Ad artiste come Giulia Napoleone, attrici come Sofia Loren, scrittrici come Rosetta Loy, per esempio; ma qualunque data avessimo scelto, i tagli sarebbero comunque apparsi gravi, anche perché con il passare degli anni le presenze femminili si infittiscono, e le donne sulla scena pubblica sono ormai una moltitudine.
Tra le protagoniste del Risorgimento abbiamo scelto di inserire quelle ancora attive nel periodo unitario, per rispettare il senso della periodizzazione. Abbiamo escluso i casi di cronaca nera, le assassine, le donne salite alla ribalta per tragiche storie di violenza. Inoltre, mancano all'appello le donne di Casa Savoia, considerando il fatto che le regine – per secoli le uniche figure pubbliche femminili- hanno mantenuto a lungo uno status separato, e le loro biografie difficilmente si possono amalgamare alle altre, qui riunite. Spesso le donne hanno adottato il cognome acquisito con il matrimonio, oppure l'hanno aggiunto al proprio; per evitare confusioni abbiamo scelto di indicare ciascuna delle nostre protagoniste con il nome con cui, per consuetudine, è più nota.

Eugenia Roccella – Lucetta Scaraffia