Navigazione: » Italiane » Biografie » Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
Motore di ricerca

Cerca all'interno
dell'archivio

   Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
  Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914)
Seleziona una lettera:

0-9 A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z
  Gli articoli più visualizzati
Bandiera Italiana
  Sito ottimizzato
Ottimizzazione

Sito ottimizzato per una risoluzione di 1024x768px o superiori.

Browser/applicazioni consigliate

  • Firefox 3+
  • Crome - tutte le versioni
  • Internet Explorer 7+
  • Opera 9+
  • Safari 5+
  • Adobe Acrobat Reader o altro lettore pdf (per visualizzazione documenti)
 

Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914) » Giacomelli Antonietta  
1857 - 1938
 


 

 

Nell'estate del 1894 Sofia Bisi Albini proponeva alle lettrici della Rivista per le Signorine due libri “coraggiosi”, capaci di dare finalmente voce al bisogno di rinnovamento culturale e religioso che andava ormai investendo il cattolicesimo italiano, e di ridestare in cuori giovanili entusiasmi e aspirazioni sopite.

Le due autrici, Luisa Anzoletti e Antonietta Giacomelli, erano entrambe animate da una fede solida e «illuminata», e da uno stesso amore ardente della patria, alimentato dalla memoria di speranze e lotte che erano costate “lacrime e sangue” negli anni del Risorgimento. La fede nel soprannaturale di Luisa Anzoletti, introduceva a un cristianesimo capace di informare di nuovo l'esistenza individuale e collettiva, come tensione spirituale, ma anche come valorizzazione del dovere e dell'impegno sociale. Sulla breccia di Antonietta Giacomelli, insegnava a trasfondere nella pratica questa vita religiosa nuova, consapevole di sé e autenticamente evangelica.

Bisi Albini lo raccomandava in particolare alle giovani che si avvicinavano alla trentina, e che nel passaggio all'età matura avrebbero trovato nel libro un modello di perfezionamento morale, un incitamento a operare il bene con la «carità operosa» che era propria dell'autrice, e a vivere la fede come impegno, corrispondendo a quel risveglio religioso e culturale di cui il libro voleva essere strumento.

Con le sue cinquecento pagine, Sulla breccia era un libro “eccessivo” e faticoso, ma le tematiche stipate nel volume erano tra le più impegnative: «Tutte le questioni più interessanti, più scottanti, più dolorose di questa fine secolo», annunciava Bisi Albini, prima tra tutte la grande questione della giustizia sociale. Se il filo narrativo spesso si perdeva nell'affastellarsi di temi e di pensieri, ciò che attraeva in Sulla breccia era però la personalità dell'autrice, «donna» nel senso pieno della parola, ardente e irrequieta, «tutta scaldata da un altissimo ideale»; cristiana, combattiva e benefattrice, era una figura «tutta moderna», capace di parlare alle giovani e alle adolescenti: una donna nuova, che al lavoro della scrittura intesa come azione educativa e civile, univa un forte impegno sociale.

Antonietta Giacomelli aveva allora trentasette anni; era nata a Treviso nel 1857, da una famiglia originaria del Friuli, che aveva conosciuto per qualche decennio attorno alla metà del secolo una considerevole fortuna, perduta poi in modo repentino nel 1875, a seguito di un tracollo finanziario. La vicenda familiare costituì nel percorso di Antonietta un'esperienza significativa: approfondì la sua sensibilità verso le diseguaglianze sociali, e l'aprì alla condivisione delle sofferenze dei poveri.

Nel 1893 si era trasferita a Roma con la famiglia. Nei quartieri popolari della capitale, che era in quegli anni un centro tra i più vivaci nel clima di rinnovamento culturale e sociale di fine secolo, si andava organizzando l'“Unione per il bene”, un gruppo aperto a quanti, uomini e donne “di buona volontà”, pur provenendo da confessioni cristiane diverse condividevano uno stesso progetto di ricerca religiosa e di riforma delle coscienze, unito all'esigenza di praticare con i poveri la carità cristiana; nell'Unione, accanto a tanti giovani sacerdoti e laici, trovò fertile terreno di esperienza un protagonismo femminile nuovo, di donne che nel Vangelo e nella fede scoprivano un alimento di vita interiore libero dal formalismo della devozione, e una legittimazione di presenza e di iniziativa.

Antonietta Giacomelli divenne ben presto un punto di riferimento del movimento, e proseguì questo suo impegno ben oltre gli anni del soggiorno romano: da Venezia e poi da Treviso, dove fece ritomo nel 1902, mantenne i legami consolidandoli con fitti carteggi, costruì nuove relazioni, creò contatti e riviste, stimolò iniziative. La crisi che dopo l'enciclica Pascendi e la condanna del modernismo colpì il riformismo religioso non la scoraggiò: era sempre più persuasa in quel tempo che per seguire Cristo ed essere coerenti al Vangelo, fosse necessario rompere ogni legame con il soffocante domino della chiesa ufficiale.

Fu però difficile alla sua coscienza di cattolica sopportare negli anni il peso della censura ecclesiastica nei confronti dell'Adveniat Regnum tuum (1912) – una raccolta di preghiere assai letta, concepita come contributo a un rinnovamento liturgico – e del successivo Per la riscossa cristiana (1913) in cui la Giacomelli difendeva il movimento di rinnovamento religioso dall'accusa di modernismo.

Il Vangelo, le lettere di San Paolo, i Padri della Chiesa, erano per Antonietta Giacomelli l'alimento costante della fede: una fede che essa non viveva come sentimento, “manifestazione del cuore”, ma piuttosto come conquista ottenuta con la lotta, con lo studio e con la ragione. Il fondamento dell'educazione proposta dalla Giacomelli alle sue lettrici – le ragazze delle classi borghesi a cui sono in gran parte rivolti i suoi libri – è il cristianesimo, in aperto contrasto con l'insegnamento religioso “cattolico” impartito nei collegi, e con la devozione imparata dai manuali di formazione religiosa per giovinette.

Nei primi anni, meno segnati dall'inquietudine religiosa e dal clima di sospetto introdotto in seguito dalla Pascendi, Antonietta era convinta che la cultura religiosa delle donne, oltre ad attingere alle fonti della Scrittura e della patristica, avrebbe dovuto comprendere anche quegli studi biblici il cui rinnovamento destava tanto allarme negli ambienti ecclesiastici; nel difficile rapporto tra scienza e fede, che creava ormai divisione anche all'interno della chiesa, la pietà imparata negli anni d'infanzia e gli insegnamenti categorici del catechismo non le apparivano più sufficienti.

L'educazione religiosa era però parte di quella più ampia promozione culturale e intellettuale delle donne, nella quale Antonietta Giacomelli ravvisava una delle rivendicazioni sociali più significative da porre al nuovo secolo. Donne educate a forti e generosi ideali, cristiane nel senso evangelico del termine, con la loro influenza morale e con il loro impegno pratico avrebbero recato un con tributo di grande valore al progetto di rinnovamento religioso e di radicale riforma sociale, che nelle attese di quegli anni si chiamava “democrazia cristiana”. La vieille fille protagonista del suo primo libro, Lungo la via, uscito nel 1889, incarnava già questo modello di donna: invecchiata nubile nella casa paterna, Annetta ha un «cuore amante», memore delle «immortali speranze» degli anni del Risorgimento, la sua infanzia, «quando sugli altari di Cristo si benediceano le bandiere della santa rivolta».

Il padre di Antonietta, Angelo Giacomelli, nella sua gioventù - merita ricordarlo -era stato mazziniano fervente, aveva partecipato ai moti del ‘48 e aveva subito il carcere. Nel diario di Annetta, rivolto alla nipote adolescente perché le fosse di guida nell'educazione sentimentale e nella formazione della volontà, torna ripetutamente il contrasto tra le due generazioni, quella del ‘48 e delle “camicie rosse” garibaldine e quella di fine secolo, che ad Annetta pareva compressa, soprattutto nelle ragazze, in «piccole idee, piccoli affetti, piccole aspirazioni».

L'istruzione impartita nei collegi femminili, vero e proprio antimodello, era responsabile per Antonietta Giacomelli di un autentico “tradimento” nei confronti delle giovinette: per gli studi limitati e malfatti, per il silenzio che ella trovava assolutamente immorale sulla vita coniugale, tributo ingiustificato a quell'immagine di innocenza ignorante che contribuiva a consegnare le donne, informi e già sottomesse, «nelle mani di un uomo». Coerentemente con queste affermazioni, al primo congresso di attività pratica femminile che si tenne a Milano nel 1908, Antonietta sostenne la necessità di dare alle giovani nozioni di educazione sessuale. Anche per questo, la Civiltà Cattolica considerava i suoi libri «pericolosissimi».

Per quanto molte pagine della Giacomelli rivolte alle ragazze si proponessero di educare in esse le future madri di famiglia, il matrimonio non vi appariva più come l'unica via di realizzazione della donna. «Da giovane si sognano le balde lotte, le immolazioni romantiche», scriveva in Lungo la via: così Annetta fin dall'adolescenza aveva trovato rispondenza alle sue fervide aspirazioni nella figura di Caterina Benincasa, così come l'aveva riproposta Niccolò Tommaseo, la «patriotta animosa, che per le città italiane peregrinava apostolo di pace»; ma nella generazione successiva, quella di Nicoletta, protagonista di Sulla breccia, se talvolta affiora come suggestione del martirio l'immagine della suora missionaria nelle terre d'Africa o in Cina, l'aspirazione è altra: Nicoletta si figura come direttrice di un collegio, da cui tutte le allieve uscivano «atte a migliorare la società», o come una «signora velata» che in incognito fa della carità tra i poveri il fine della sua vita. «A volte ero una scrittrice, i cui libri facevano diventar buoni tutti quelli che li leggevano».

Molte pagine della Giacomelli sono così rivolte a difendere la dignità della donna sola, a promuovere un'educazione che muovendo da una critica a fondo del matrimonio borghese, indichi alle donne altre vie di realizzazione: il lavoro, che pur con qualche riluttanza, e riferendosi prevalentemente alle donne nubili italiane delle classi borghesi, riteneva uno strumento di libertà, e la vita intellettuale. Lei dedicò a questa, mai disgiunta da un impegno pratico, politico, religioso, educativo, tutta la sua lunga vita.

Anna Scattigno

   Stampa