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La vita quotidiana » La casa  
 


 

 
G. Induno - Interno rustico  - olio su tela - Collezione privata  

«Casa rustica, abitazione di contadini, nella quale sono anche luoghi per tenere il bestiame sia grosso sia minuto e per riporre arnesi e altre robe di villa […]. Casa civile, propriamente è quella che […] serve d'abitazione a persone non esercitanti l'arte del contadino, e dicesi per lo più in opposizione a casa rustica».

Così il Vocabolario italiano domestico stampato a Napoli nel 1859 definiva il termine «casa», distinguendo nettamente il modo d'abitare del contadino da quello del cittadino.

Dovendo molto schematizzare, poiché l'Italia del tempo era fatta di strati sociali assai diversi, possiamo tuttavia mettere in luce alcuni caratteri di fondo delle abitazioni nobiliari e borghesi, da una parte, e contadine, dall'altra.

Così come oggi, e forse come sempre, anche nell'Ottocento poche cose come la casa rispecchiano il livello sociale della famiglia che la abita, e l'organizzazione dello spazio domestico (cioè il modo in cui la casa è divisa e arredata) riflette i caratteri dei sistemi familiari, le gerarchie al loro interno, i valori, il tipo di socialità che vi si svolge. Un'intensa vita sociale animava le abitazioni dei nobili: pranzi, concerti, feste, incontri mondani e ricevimenti.

Nelle serate presso le famiglie della nobiltà cittadina è dato incontrare qualche viaggiatore straniero, gli uomini possono appartarsi nelle stanze da biliardo per fumare, nei salotti si conversa, si ascoltano brani letti ad alta voce, si eseguono sonate al pianoforte. I locali adibiti alla frequentazione sociale (saloni per le feste, anticamere, stanze di compagnia, gallerie e salotti) rivestono grande importanza e costituiscono la parte più consistente del valore dell'intero arredo della casa.

Lo si ricava dalle dettagliatissime descrizioni contenute negli inventari dei notai che, all'indomani della morte di un membro della famiglia, provvedevano a stimare i beni: così, ad esempio, nel ricco mobilio di una nobildonna napoletana di metà Ottocento si contano nove divani, dieci poltrone, quattordici poltroncine, quarantacinque sedie di vario tipo, un pianoforte, un tavolo da pranzo, alcuni tavolini da gioco, consolles in marmo e specchiere di cristallo, tappeti e lampadari in bronzo.

Una delle caratteristiche principali delle abitazione dell'élite ottocentesca è la separazione fra le stanze destinate alla socialità e le stanze private. La separazione è tipica soprattutto della casa borghese, con il corridoio che ha appunto la funzione di separare le due sfere e di rinserrare le stanze private dietro una porta.

Tale tendenza aveva riguardato dapprima l'Europa settentrionale e si veniva affermando anche in Italia, in sintonia con l'evoluzione della famiglia. Esiste infatti un nesso molto stretto tra la nascita della famiglia fondata sull'individualismo e sugli affetti (schematizzando, della famiglia borghese) e la divisione degli spazi abitativi introdotta dal corridoio.

Nel corso dell'Ottocento si diffonde – limitatamente alle classi medie urbane – la distinzione tra la camera dei genitori e quella dei figli; e, quando le finanze familiari lo permettono, la distinzione tra le stanze dei figli maschi e quelle delle femmine. L'avere una stanza solo per sé corrisponde appunto al bisogno di isolamento e di intimità: grazie ad essa, le risa, i pianti e ogni altra effusione affettiva possono essere relegati in uno spazio intimo, sottratti alla osservabilità della convivenza domestica.

 


 

  G. Induno - La lettera dal campo - 1859 ca. - olio su tela - Collezione privata

Al diverso sistema di socialità che regna all'interno delle abitazioni corrisponde, in linea di massima, un diverso sistema familiare. Si presenta tendenzialmente allargato e aperto alle frequentazioni esterne quello nobiliare, maggiormente ristretto e appartato fra le mura domestiche quello borghese. In quest'ultimo gli uomini usano intrattenere relazioni e trascorrere il loro tempo libero soprattutto all'esterno dell'abitazione, presso circoli, associazioni e club.

Quanto agli ambienti, la stanza più curata della casa borghese è senz'altro il salotto, l'ambiente rappresentativo per eccellenza. Per la piccola e media borghesia urbana (come nota Paolo Macry, autore di un libro sulle élites a Napoli nell'Ottocento) è difficile dire quanto il salotto rappresenti un luogo di contatti sociali veri e propri, o non piuttosto una semplice aspirazione di status.

Rispetto ai salotti nobiliari, comunque, arredi e oggetti si ripetono, anche in conseguenza di processi di imitazione sociale e di circolazione culturale. Pure nella casa borghese campeggia il pianoforte, non mancano i candelabri, numerosi sono gli orologi (da quelli a pendolo a quelli a sveglia, presenti nelle camere da letto), i quadri, le stampe e i ritratti di famiglia. Ma molto diversi sono il loro valore e, almeno in parte, la loro funzione: di orologi, ad esempio, ne esistono per tutte le tasche, i candelabri sono spesso non d'argento ma di cristallo e talvolta di zinco, mentre il pianoforte, a seconda del modello e della provenienza, può valere molto o pochissimo.

Collocato fuori dal suo contesto originario (la casa dei nobili), il pianoforte è soprattutto un simbolo di affermazione sociale: poteva infatti avvenire che in talune abitazioni si trovasse in bella mostra senza essere di fatto mai usato. Rispetto al salotto, le altre stanze della casa borghese si presentano piuttosto modeste.

Gli studi professionali sono semplici, con scrittoi e piccole librerie, le camere da pranzo risultano piuttosto povere, probabilmente riservate all'uso quotidiano della famiglia, in cucina si trovano pochi utensili e poco costosi. Anche le stanze da letto sono arredate in modo semplice e rispecchiano valori e gerarchie della famiglia: cosicché l'arredo delle stanze dei figli maschi è sostanzialmente analogo a quello delle stanze delle figlie femmine, ma di maggior valore: i mobili possono essere di mogano anziché di noce, i letti di ottone anziché di ferro, le croci sopra il letto d'argento anziché di legno.

Grande importanza riveste invece la «stanza maritale» come era chiamata negli atti notarili , non soltanto per la maggiore cura e valore dell'arredo, ma perché è al suo interno che si custodiscono gelosamente i denari e i preziosi di famiglia.

Nell'abitazione dell'élite urbana la stanza da bagno, così come oggi siamo abituati a vederla, figura come una grande assente: occorre tener conto del fatto che all'epoca l'igiene era un concetto molto relativo, e soltanto nei primi decenni unitari la preoccupazione di una maggiore pulizia (sia personale, sia dell'ambiente urbano sia infine domestica) rientrò fra gli obiettivi del nuovo Stato attraverso specifiche leggi.

Per ciò che riguarda l'igiene della persona, farsi il bagno completo costituiva un evento molto raro anche perché era opinione diffusa (perfino fra i medici) che il farlo debilitasse il fisico, e che la dilatazione dei pori della pelle, tramite l'acqua calda, facesse aumentare il rischio di contrarre le infezioni.


 

 
O. Borrani - Il 26 aprile 1859 in Firenze. - olio su tela - Istituto Matteucci - Viareggio  

La scarsa confidenza con l'uso dell'acqua per la pulizia del corpo era dovuta anche, per le donne, a questioni legate al pudore, alla morale, alla convinzione che il lavaggio delle parti intime costituisse un peccato di decenza e fosse causa di sterilità. Generalmente ci si lavava nella camera da letto, dove si trovavano delle bacinelle di maiolica collocate al centro di specifici mobili; nel migliore dei casi, in piedi in una tinozza, mentre il gabinetto consisteva in vasi da notte e altri recipienti da toletta camuffati da poltrone e angoliere, con accanto una brocca d'acqua.

Solo negli ultimi decenni dell'Ottocento è dato scorgere nell'edilizia urbana una maggiore attenzione per la stanza da bagno. Un compendio delle abitazioni civili del 1879 raccomandava infatti «una stanza da toletta con grandi lavamani e con bagno vicino a quella del letto» per una casa che volesse risultare «comoda, igienica ed elegante».

Ma la realtà era ancora ben lontana da siffatte linee guida e le case risultavano prive di ogni moderno comfort: non c'era l'acqua corrente che bisognava attingere al pozzo o alla fontanella pubblica; la spazzatura veniva gettata in pozzi scavati nella terra, e più spesso direttamente in strada; le acque piovane non venivano incanalate e perciò potevano ristagnare anche a lungo.

Soprattutto, non esistevano le reti fognarie ma i cosiddetti pozzi neri; i pozzi che servivano le abitazioni e gli stessi acquedotti cittadini dispensavano acque spesso non potabili, perché contaminate da sostanze fecali e urinarie presenti nel terreno. Furono proprio le acque di scarico a propagare il colera che a più riprese, tra il 1835 e il 1911, causò la morte di un milione di italiani.

A fine Ottocento, scrive Paolo Sorcinelli in un suo testo, «solo la metà dei comuni italiani era dotato di condutture per l'acqua potabile e più del 77 per cento era sprovvisto di fogne». Tutta questa situazione rendeva, soprattutto d'estate, insopportabile il fetore, anche per le deiezioni dei cavalli disseminate lungo le strade.

All'estremo opposto della casa dell'élite cittadina, troviamo la casa rurale. Come affermava il citato vocabolario di metà Ottocento, tutto distingueva, in effetti, un'abitazione civile da un'abitazione rurale. A marcare la distinzione tra i due modelli abitativi erano la miseria e le condizioni di estrema arretratezza delle campagne, soprattutto nelle regioni meridionali, come rivelarono le prime grandi inchieste agrarie che si svolsero all'indomani dell'Unità (l'inchiesta di Franchetti e Sonnino sulla Sicilia è del 1876, l'inchiesta Jacini inizia nel 1877).

Nel Sud del vasto latifondo, l'alloggio tipico della massa bracciantile non era situato direttamente sul fondo, ma concentrato nei grandi villaggi rurali: si trattava di alloggi quasi sempre a livello terraneo, ad un solo vano, privi di latrine e sciacquatoi, con al massimo un soppalco che ospitava la legnaia e i letti per i ragazzi.

Appena migliore, ma solo dal punto di vista abitativo, appariva la situazione nelle campagne padane, dove la struttura più tipica era il cascinale che aveva il pregio di tener separata l'abitazione vera e propria dal rustico, dove si trovavano le stalle e la concimaia per gli animali.

Nell'Italia centrale la forte presenza della mezzadria aveva dato origine ad un altro tipo ancora di casa rurale, la casa sparsa, così chiamata per via della sua particolare distribuzione sul territorio: l'abitazione era di norma posta al primo piano della casa, mentre al piano terra si trovavano le stalle, il fienile e il granaio. Se le differenti morfologie di proprietà e di produzione delle aziende avevano generato, lungo la penisola, tipologie abitative differenti, ovunque grave si presentava la situazione dal punto di vista igienico-sanitario e sociale.

La situazione igienica era particolarmente difficile a causa della promiscuità che regnava tra le persone e gli animali, fra gli animali e gli oggetti domestici, fra gli animali e i cibi: era una situazione in cui tutto, dai rifiuti agli odori, agli escrementi, si confondeva, generando continue infezioni. Tale situazione poteva presentarsi in parte diversa, a seconda delle diverse zone geografiche e tipologie abitative.

 


 

  G. Induno - Il racconto del garibaldino - 1860-1865  - olio su tela - Collezione privata

Nelle regioni meridionali gli animali entravano normalmente nelle case, cosicché poteva avvenire che in uno stesso ambiente dormissero i componenti di una intera famiglia (nonni, figli e nipoti), gli animali da cortile e talvolta anche mucche e maiali. Tipica era infatti anche la promiscuità tra generazioni e tra persone sposate e non sposate. Nelle regioni settentrionali, le abitazioni risultavano generalmente separate dalle stalle e dalle concimaie: di conseguenza, gli uomini e gli animali vivevano sempre affiancati, ma in spazi non comunicanti.

Il cuore della casa contadina era il focolare, leggermente rialzato rispetto al solaio per permettere più facilmente la preparazione delle vivande. Normalmente il focolare era circondato da panche dove ci si sedeva per riscaldarsi, e in prossimità stava un grosso tavolo attorno al quale la famiglia contadina si riuniva nel pasto principale.

La socialità contadina ruotava però anche intorno alla stalla, luogo dalle molte funzioni e non tutte legate al lavoro: nella stalla si andava per lavorare, per sorvegliare le bestie; nella stalla dormivano i figli più giovani quando la famiglia si allargava; nella stalla si riunivano le donne per rattoppare gli abiti. Ma nella stalla si amoreggiava, anche, si intrecciavano relazioni sociali con i vicini, si tramandavano storie e credenze legate al mondo contadino.


Schede collegate: città, socialità e divertimenti, nascita della famiglia borghese

 

Buone maniere a tavola secondo un galateo dell'Ottocento

Uno dei più noti galatei dell'Ottocento fu quello di Melchiorre Gioia, pubblicato per la prima volta nel 1802 e più volte ristampato e ampliato nel corso dell'Ottocento. Ecco che cosa prescriveva nella parte dedicata al comportamento da tenere in occasione di un invito a pranzo.

M. Gioia, Il primo e il nuovo Galateo, Torino, Unione tipografico-editrice, 1858, pp. 177-192.

 

Le abitazioni dei contadini

Con la famosa inchiesta Jacini deliberata dal Parlamento nel 1877 il nuovo Stato acquisì un quadro delle arretratissime condizioni di vita nelle campagne italiane, come testimoniano, ad esempio, le relazioni sulle abitazioni e sulle abitudini domestiche dei contadini del frusinate e delle province marchigiane.

Atti della giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, vol. XI, tomo II, Arnaldo Forni editore [ristampa anastatica dell'edizione stampata a Roma da Forzani e C., Tipografi del Senato, 1884], pp. 130-133, 589-591.

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