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I valori » Il popolo  
 
 
F. Carcano - Tipi di una famiglia di contadini nel Veneto o Scena di vita montana - 1885 - olio su tela - Collezione Cariplo - Milano  

Era stato soprattutto attraverso gli scritti del filosofo tedesco Johann Gottfried Herder che, a partire dagli ultimi decenni del Settecento, si era affermata nella cultura europea l'idea che ciascun popolo avesse caratteristiche assolutamente peculiari che lo differenziavano da qualunque altro così come avviene per i diversi individui, ciascuno dei quali è diverso da tutti gli altri.

Nel contesto della riscoperta romantica della storia e delle tradizioni, il concetto herderiano di Volk accreditava l'idea che la comunità popolare, la grande famiglia rappresentata da chi pensa e sente come noi, costituisse una dimensione naturale-originaria, e perciò irrinunciabile, per ciascun essere umano.

Per la cultura risorgimentale come per i vari movimenti di indipendenza nazionale dell'Ottocento, il concetto di popolo e quello di nazione venivano in larga misura a coincidere. Riferendosi al «popolo» non si voleva indicare una parte soltanto della società, bensì (sono parole di Mazzini) l'«universalità degli uomini componenti nazione».

Così evocato, all'inizio soprattutto dai democratici, il popolo-nazione era il soggetto collettivo del processo di indipendenza: quello che avrebbe dovuto cacciare lo straniero, realizzare ordinamenti liberi e così via.

Per ciò stesso, il popolo era naturalmente un'immagine-mito, che poco aveva a che fare con la gran massa della popolazione concretamente esistente, la quale poteva anche non essere sensibile affatto (e in effetti non lo era: si pensi in primo luogo ai milioni di contadini della penisola e delle isole) ai discorsi dei patrioti.

Naturalmente, richiamarsi al popolo significava anche, per i democratici, richiamare la necessità di dare vita a ordinamenti fondati sulla attiva partecipazione e sul consenso della popolazione. A tal fine tra gli obiettivi dei democratici vi era quello della concessione del suffragio universale, come strumento per dare effettiva attuazione al principio della sovranità popolare.

Se in termini generali, come si è detto, popolo e nazione rappresentavano concetti largamente sovrapponibili, è anche vero che da parte liberale si parlava piuttosto, in opposizione al concetto democratico di sovranità popolare, di sovranità nazionale. In questo secondo caso, infatti, la sovranità era attribuita alla nazione considerata come un soggetto distinto dai cittadini che ne fanno parte, cioè come una persona giuridica.

 


 

  T. Signorini - Vecchia Firenze - 1889 - olio su tavola - Collezione privata - Milano

Attraverso l'«ingegnosa idea della sovranità nazionale» (M. Duverger) si affermava così una particolare idea della sovranità: essa spettava in realtà non al popolo ma alla nazione, e dunque non implicava la concessione del suffragio universale, un istituto che all'epoca spaventava la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica liberale, italiana e non.

Fu con le insurrezioni del 1848-1849, e con la mobilitazione di massa che esse mostrarono, che il popolo – a lungo invano evocato come protagonista della lotta per l'indipendenza – sembrò rispondere effettivamente all'appello, spazzando via una strategia come quella federalista neoguelfa, che – da sempre timorosa della mobilitazione popolare – aveva puntato sull'accordo tra i singoli Stati della penisola.

Ancora nel 1859-1860, nella fase conclusiva della lotta per l'indipendenza – con le insurrezioni nell'Italia centrale e poi con la mobilitazione legata alla spedizione garibaldina nel Mezzogiorno – il popolo si affermò come uno dei soggetti decisivi (l'altro fu la monarchia sabauda) del processo di indipendenza nazionale. Questo dato di fatto venne sancito allora dai plebisciti, con i quali milioni di italiani accettavano di entrare a far parte del nuovo Regno, i cui ordinamenti venivano così a fondarsi su una doppia legittimità: sul tradizionale principio dinastico e su quello della sovranità popolare.

Il popolo che partecipò – anche nelle fasi di più intensa mobilitazione – alle lotte risorgimentali in realtà non superò mai i confini di cospicue minoranze: esponenti – in primo luogo giovani – dei ceti medi e della nobiltà, artigiani e popolani delle città. Ma considerare questo come un limite del Risorgimento, come a volte è stato fatto, sarebbe sbagliato, giacché era inevitabile che all'epoca la maggioranza numerica della popolazione – composta per lo più di contadini analfabeti – non potesse essere davvero coinvolta nella lotta per l'indipendenza.


 

 
Bosetti - Fabbricanti di sedie - 1870 - fotografia - Collezione Dietmar Siegert - Monaco  

Alcuni esponenti della democrazia risorgimentale sostennero posizioni diverse (destinate a restare nettamente minoritarie), cioè la necessità che il popolo fosse il soggetto di una rivoluzione, oltre che nazionale, sociale.

Per Giuseppe Ferrari, ad esempio,  «la libertà, la sovranità, l'indipendenza non sono che menzogne là dove il ricco schiaccia il povero».

In discorsi del genere il concetto di popolo veniva a definire non la totalità della nazione, bensì la parte più povera, più disagiata, composta di lavoratori manuali e (come si cominciava a dire) di proletari, che si sarebbero mobilitati a favore della lotta nazionale soltanto se si fosse loro promesso un concreto miglioramento delle condizioni di vita.

Su queste posizioni si trovava anche Carlo Pisacane, per il quale la rivoluzione nazionale avrebbe dovuto essere al contempo una rivoluzione sociale in grado di mobilitare i contadini.

 

Il «popolo» secondo un dizionario dell'epoca

Un Dizionario politico popolare, pubblicato a Torino nel 1851, contiene una voce «popolo» che si colloca a metà strada tra l'idea che la parola definisca «tutti i cittadini» e un'accezione in chiave sociale, secondo la quale definirebbe anzitutto le «classi povere».

Dizionario politico popolare, a cura di P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, 1984, pp. 181-182.

 

L'insurrezione bolognese del 1848 nelle memorie di un popolano

Nelle sue memorie, l'ombrellaio Luigi Paioli raccontò – in un italiano malcerto, ma notevole per una persona della sua condizione sociale – l'insurrezione antiaustriaca di Bologna dell'8 agosto 1848, cui parteciparono i popolani della città, donne e ragazzi compresi.

Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze, a cura di L. Villari, IV, Roma, Biblioteca di Repubblica-L'Espresso, 2007, pp. 644-649.

 

Il «popolo delle campagne» e il «popolo delle città»

Ippolito Nievo, nel Frammento sulla rivoluzione nazionale scritto prima o poco dopo la spedizione dei Mille (cui egli stesso partecipò), si interrogava sull'estraneità che il «popolo illetterato delle campagne» mostrava nei confronti del «popolo addottrinato delle città italiane».

Il Risorgimento. Storia, documenti, testimonianze, a cura di L. Villari, VI, Roma, Biblioteca di Repubblica-L'Espresso, 2007, pp. 530-533.

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