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I Personaggi Principali » Bresciani Borsa Antonio  
Ala (Trento), 24 luglio 1798 - Roma, 14 marzo 1862
 

Divenuto il simbolo della letteratura antipatriottica e chiesastica del periodo risorgimentale in seguito al giudizio di Antonio Gramsci, che nei suoi quaderni progettò di scrivere un saggio da intitolare «i nipotini di padre Bresciani». Fu di nobili origini e, dopo aver frequentato come chierico i corsi di teologia presso il Seminario di Verona nel 1818, ricevette l'ordinazione sacerdotale a Bressanone nel 1821.

Nel 1824, dopo una fuga romanzesca dagli Stati austriaci, raggiunse Roma con il proposito di entrare nella Compagnia di Gesù ma, dopo essere stato ammesso nel noviziato di S. Andrea, venne fatto richiamare dal padre attraverso le autorità religiose e civili. Piegatosi a lasciare il noviziato nell'aprile del 1826, invece di ritornare a Verona si rifugiò a Firenze presso Pietro Leopoldo Ricasoli, e rimase nascosto ai suoi per circa due anni.

Dopo aver trovato una via di mediazione con il padre, nel maggio 1828 pronunciò i suoi primi voti religiosi nel  noviziato di Chieri, e fu inviato al collegio del Carmine di Torino e a Genova, nel convitto-accademia di S. Girolamo dell'Università. Rettore di S. Ambrogio a Genova nel 1832, nel 1834 fu inviato come rettore nuovamente al collegio del Carmine di Torino, dove divenne confessore dei principi di Carignano e confidente della regina Maria Teresa. Raggiunta Roma nel 1835 per un periodo di riposo, iniziò la sua attività di scrittore, traducendo opere dal latino e dal francese.

Dati gli ultimi voti religiosi nel 1837, divenne per tre anni rettore a Modena nel collegio di S. Bartolomeo e si accostò ad un gruppo cattolico che si batteva per un'idea di patria incentrata sui concetti di religione e famiglia, raccogliendosi intorno alle Memorie di religione, di morale, e letteratura e alla «Voce della verità-Gazzetta dell'Italia centrale».

Nel 1838 uscirono a Modena gli Ammonimenti di Tionide, testo che ebbe notevole fortuna e che superò anche la censura austriaca nel Lombardo-Veneto, nel quale l'autore richiamava i giovani all'osservanza dell'Indice dei libri proibiti e li metteva in guardia dalle insidie della carboneria.

Ad esso fecero seguito l'anno seguente gli Avvisi a chi vuol pigliar moglie, e i quattro capitoli Del Romanticismo italiano, rispetto alle lettere, alla religione, alla politica, alla morale apparsi sulle Memorie di religione, in cui Bresciani condannava la cultura romantica e ogni sovvertimento della gerarchia religiosa e politica che da essa derivava.

All'interno del dibattito sulla questione della lingua, una violenta polemica fu suscitata, sempre nel 1839, dal suo Saggio di alcune voci toscane d'arti, mestieri e cose domestiche in cui si sosteneva il valore del volgare toscano.

Di nuovo rettore del collegio del Carmine di Torino dal novembre 1840, rimase in relazione con il circolo di Modena, ma avviò nuovi rapporti con letterati torinesi, tra cui Silvio Pellico e Cesare Cantù. Dal primo gennaio 1843, fatta la professione solenne, assunse il provincialato torinese che mantenne fino al maggio del 1846: lungo questo triennio, nel quale gli attacchi ai gesuiti si fecero in Piemonte sempre più espliciti, ingaggiò una dura lotta per la libertà di insegnamento e per l'autonomia della Compagnia.

Tornato a Roma come rettore della Propaganda Fide, si dedicò all'elaborazione di appunti raccolti in Sardegna tre il 1843 e il 1846 e stese l'opera, poi pubblicata nel 1850, Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali.

Membro fin dalla prima seduta della redazione della «Civiltà Cattolica», per la quale aveva presentato una confusa proposta già nel dicembre 1846, vi pubblicò una serie di romanzi di vasto successo, attraverso i quali si esprimevano in forme più semplici gli stessi principi esposti in altre sezioni della rivista, come le verità dogmatiche e morali della religione.

Dei tanti componimenti scritti negli ultimi anni della vita si ricordano L'ebreo di Verona del 1850-1851 e La Repubblica romana e Lionello del 1851-1852, in cui si rievocavano gli avvenimenti del 1846-1849 difendendo il punto di vista della Santa Sede, e il Don Giovanni ossia il benefattore occulto, del 1856, in cui presentava un modello di vita sacerdotale da contrapporre all'immagine di clero corrotto diffusa da molta letteratura contemporanea. Si spense a Roma il 14 marzo 1862.


Schede collegate: cultura antirisorgimentale

 

La morte di Anita Garibaldi

Il testo è tratto dal libro Don Giovanni ossia il benefattore occulto, pubblicato nel 1852 e dedicato al Monsignore Domenico Fioramonti. In esso padre Bresciani, che accenna anche all'assassinio di Pellegrino Rossi, mostra di dare credito ad alcune versioni sulla morte di Anita Garibaldi circolate negli ambienti dell'antirisorgimento cattolico; secondo queste voci la donna sarebbe stata abbandonata in fin di vita dal marito e poi uccisa dai patrioti a cui era stata affidata, o addirittura strangolata da Garibaldi stesso per liberarsi da un impiccio che gli rallentava la fuga. Pare ormai assodato, invece, che la donna sia morta a causa di un parto prematuro.

Prose del padre Antonio Bresciani della compagnia del Gesù, X, Don Giovanni ossia il benefattore occulto, Milano, Tipografia e libreria arcivescovile Ditta Boniardi-Pogliani di E. Besozzi, 1857, pp. 100-115.

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