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I Personaggi Principali » Massimo Taparelli d'Azeglio  
Torino, 24 ottobre 1798 - ivi, 15 gennaio 1866
 

 

 
F. Gonin - Massimo d'Azeglio. -olio su tela  - Museo del Risorgimento Torino  

Quartogenito del marchese Cesare Taparelli d'Azeglio.

Dopo una brillante giovinezza, dedita soprattutto allo studio della pittura (1820-1830 a Roma), nel 1831, si trasferì a Milano, entrando in relazione con il cenacolo di Alessandro Manzoni, di cui sposò la figlia.

Di questi anni sono i suoi romanzi (Ettore Fieramosca; Niccolò de' Lapi; La Lega Lombarda). Grande influenza sullo sviluppo del pensiero politico di d'Azeglio ebbe il cugino Cesare Balbo.

Per conto dei liberali, nel 1845 attraversò per le Romagne, le Marche e la Toscana. Fu l'occasione per entrare in contatto con la cospirazione carbonara e mazziniana.

Ne trasse anche un opuscolo, fortunatissimo, Gli Ultimi casi di Romagna, in cui d'Azeglio criticava il metodo delle congiure segrete ed esortava ad una lotta condotta alla luce del sole.

Lo scritto conteneva soprattutto un atto d'accusa, minuziosamente documentato, contro il malgoverno papale. D'Azeglio concretizzò il suo progetto politico, nel 1847, con la Proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana. Punti di riferimento di quel programma furono prima Pio IX, poi Carlo Alberto.

Aiutante di campo del generale Durando nel 1848-1849, fu un deciso avversario di democratici e repubblicani, da lui accusati del fallimento della guerra. Presidente del Consiglio dal 1849 al 1852, ebbe come programma una pace onorevole con l'Austria, l'intesa con la Francia e l'Inghilterra, la difesa della costituzione e una serie di riforme interne. Il 20 novembre del 1849 consigliò al Re il Proclama di Moncalieri.

 


 

  M. d'Azeglio - Frontespizio de "I miei ricordi"

Nel 1850 fu al centro dell'aspra lotta politica per l'approvazione delle leggi Siccardi, in cui si aboliva il foro ecclesiastico e una serie di immunità del clero, e non temé di far arrestare l'Arcivescovo di Torino. Nel 1852, dopo il “connubio” tra Cavour e Rattazzi e l'elezione di quest'ultimo alla presidenza della Camera, Massimo d'Azeglio lasciò la politica attiva riprendendo a dipingere.

Nel 1855, tuttavia, in Senato sostenne l'intervento militare in Crimea del Piemonte e accompagnò il re a Londra e a Parigi in alcuni incontri diplomatici. Ritiratosi a vita privata nella sua villetta a Cànnero sul Lago Maggiore, nel 1859 ebbe nuovamente due brevi incarichi politici: commissario nelle Romagne, prima; governatore di Milano successivamente. Sorpreso dagli avvenimenti e dalla loro rapidità – la rivolta della Sicilia, la spedizione dei Mille – d'Azeglio decise di ritirarsi.

Le paure e le diffidenze verso i repubblicani ch'egli vedeva dietro a Garibaldi, e la politica di Cavour, audace e pronta, lo fecero sempre più chiudere nella sua veste di austero puritanismo.

Dopo l'annessione di Napoli scrisse l'opuscolo Questioni urgenti, in cui deprecava l'idea di Roma capitale d'Italia e sosteneva la sovranità nominale del pontefice su Roma con tutte le garanzie di indipendenza spirituale.

Lontano ormai dalle correnti dominanti, negli ultimi anni della vita si dedicò alla scrittura delle memorie autobiografiche I miei ricordi. Morì lasciandole incompiute.

 

Massimo D'Azeglio a colloquio con re Carlo Alberto

Nel documento che segue, Massimo d'Azeglio rievoca il suo incontro con re Carlo Alberto di Savoia avvenuto nell'ottobre del 1845, dopo aver assistito, nel settembre, ai moti di Romagna su cui scriverà il suo pamphlet più famoso Degli ultimi casi di Romagna. Il marchese, ostile alle iniziative delle sette e ancor più al malgoverno pontificio, era però favorevole ad una “rivoluzione conservatrice” e ad un movimento patriottico filo sabaudo.

M. d'Azeglio, I miei ricordi, prefazione e note di G. Balsamo-Crivelli, Torino, Paravia, 1929, pp. 379-388.

 

Degli ultimi casi di Romagna

Massimo d'Azeglio pubblicò nel 1846 l'opuscolo Degli Ultimi casi di Romagna con lo scopo di criticare sia l'inefficacia e l'inettitudine delle cospirazioni delle società segrete che il malgoverno papale. Nel settembre del 1845, infatti, alcuni esuli, guidati da Pietro Renzi, avevano dato vita ad un'insurrezione a Rimini che era stata repressa, nel volgere di pochi giorni, dalle truppe pontificie. D'Azeglio, dopo aver assistito ai fatti di Romagna, dette alle stampe questo noto pamphlet dove denuncia l'intempestività e la dannosità di queste «miniature di rivoluzioni» in cui si «sprecano i più vitali elementi del popolo italiano».

M. d'Azeglio, Scritti e discorsi politici, a cura di M. De Rubeis, Firenze, Nuova Italia Editrice, 1931, pp. 10-23.

 

Ettore Fieramosca

Il romanzo scritto da Massimo d'Azeglio Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta, pubblicato nel 1833, nasce dalla convinzione dell'autore della necessità «d'agire sugli animi per mezzo d'una letteratura nazionale». È una rilettura, in chiave patriottica, della “giostra cavalleresca” del 1503, quando tredici cavalieri italiani guidato da Ettore Fieramosca ebbero la meglio su altrettanti cavalieri francesi.

M. d'Azeglio, Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta, a cura di A. M. Ghisalberti, Milano, Mursia, 1966, pp. 192-207.

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